Battaglie & Operazioni

La Nascita dei Commando

Dopo la disfatta della Francia, i mezzi che la Gran Bretagna disponeva per replicare alle azioni delle forze dell'Asse erano notevolmente insufficienti: il comando bombardieri della RAF aveva appena cominciato a organizzarsi; le Home Forces non potevano ancora pensare di passare all'offensiva; stavano lavorando per mettere a punto le opere di difesa e a prepararsi ad accogliere e le divisioni di Hitler, qualora mettesse in atto il suo piano d'invasione, l'operazione “Leone Marino”.

Fu in queste circostanze che Churchill e i suoi consiglieri decisero di adottare quelle attività di incursioni che portò alla formazione dei commando.

Quanto il nuovo primo ministro considerasse favorevolmente un'idea del genere è provato da un suo appunto del 18 giugno 1940: “Dalle unità esistenti si dovrebbero distaccare almeno 20.000 uomini da inquadrare in speciali truppe d'assalto, veri e propri "leopardi" pronti a balzare su qualsiasi piccolo contingente da sbarco proveniente dal mare da cielo e da terra”. Per una fortunata combinazione, il tenente colonnello Dudley Clarke, addetto del capo dello stato maggiore generale imperiale, stava da tempo esaminando, questo stesso problema. Gli studi da lui compiuti sulla storia militare lo avevano convinto che, volendo, truppe leggere, mobili e decise, potevano fare incursioni o agire dietro le linee del nemico con risultati proporzionalmente molto maggiori alla loro forza numerica. Come esempio vi era quello dei guerriglieri spagnoli che avevano costretto i francesi di Napoleone a impiegare decine di migliaia di uomini per difendersi alle spalle. Con questi presupposti, Clarke si recò dal generale sir John Dill, che si mostrò assolutamente d'accordo e, il 5 giugno sottopose a Churchill le idee di Clarke.

La nota indole battagliera di Churchill fu in questa occasione temperata dal buon senso, ed egli stabilì che le forze d'incursione, per la cui costituzione si accingeva ad impartire gli ordini necessari, non avrebbero ricevuto in dotazione armi che fossero essenziali alle Home Forces per la difesa della Gran Bretagna.

Ciò significava che la qualità degli uomini arruolati avrebbe dovuto supplire all'eventuale mancanza di armi adeguate, il che costituiva di per se un elemento sufficiente a neutralizzare le difficoltà, facendo si che gli uomini dei commando fossero non solo volontari, ma anche uomini scelti.

Le Home Forces non risentirono troppo di questa decisione, dato che ben pochi uomini furono prelevati da ogni singola unità o reparto. Ad esempio, la 4ª divisione, che aveva combattuto in Francia e in Belgio, fu invitata a fornire soltanto un contingente composto da 3 ufficiali e 47 uomini. Per fortuna vi erano elementi di prim'ordine nelle compagnie autonome che erano state formate togliendo uomini dai battaglioni territoriali per operare in Norvegia, con uomini appartenenti a queste compagnie furono costituiti i commando n. 1 e 2. In complesso vennero formati, quasi tutti nel giugno 1940, 12 commando composti da soldati inglesi e uno solo ( precisamente il n. 10) fu costituito con soldati alleati (belgi, olandesi, francesi, norvegesi e persino tedeschi), e questo non entrò in attività che nel gennaio 1942.

Ovviamente nel 1940 vi era in Inghilterra un certo numero di battaglioni di fanteria di prim'ordine, ma sarebbe sbagliato ritenere che, selezionando alcuni di questi battaglioni per adibirli alle incursioni, si sarebbero ottenuti risultati analoghi a quelli conseguiti formando reparti speciali di commando. Guerra lampo o no, l'esercito britannico risentiva ancora troppo dell'influenza dei metodi di addestramento della prima guerra mondiale, metodi che non tenevano in alcun conto le caratteristiche particolari della seconda guerra mondiale. Inoltre, a differenza di quanto avveniva in Egitto e in India, il numero di soldati a lunga ferma nei battaglioni di stanza in Gran Bretagna era molto basso: spesso non superava il 25% , mentre il resto dei battaglioni era composto da riservisti o giovani coscritti; d'altra parte, sui battaglioni territoriali si era gravemente ripercossa la decisione di dividerli in due al fine di fornire i quadri per nuove unità.

Per di più l'età media degli ufficiali al comando si aggirava ancora intorno ai 45-48 anni, un'età di gran lunga troppo avanzata per uomini che avrebbero dovuto comandare, o anche solo predisporre, delle incursioni. Erano quindi indispensabili uomini, idee e metodi nuovi, se si voleva che la politica delle incursioni desse risultati positivi. Le parole d'ordine in campo tattico dovevano essere « velocità » e « sorpresa ». I primi « commando » Il termine commando era del tutto nuovo nell'esercito inglese, sebbene fosse già stato impiegato in guerra. Durante la guerra anglo-boera (1899-1902) l'unità base delle forze boere era stata il commando, e quando, dopo la caduta di Pretoria, i boeri fecero ricorso alle tecniche della guerriglia nell'« era cristiana » (cosi chiamata dal nome del capo, Christian de Wet), la parola commando divenne familiare. Winston Churchill, che molto tempo prima era caduto nelle mani di un commando boero, trovò questo nome opportuno. Fu però Dudley Clarke che più di ogni altro insistette sull'opportunità, di adottare questo nome.

La formazione dei commando procedette con sorprendente rapidità. Gli ufficiali comandanti furono selezionati da una generazione più giovane di quella che nel 1940 deteneva i posti di comando nell'esercito inglese; essi furono poi lasciati completamente liberi di scegliersi i propri ufficiali. Il ministero della guerra aveva inviato a tutti i comandi del Regno Unito una lettera circolare con la quale richiedeva volontari per un servizio speciale di natura rischiosa. Doveva trattarsi di soldati perfettamente addestrati, di costituzione robusta, capaci di nuotare e del tutto immuni dal mal di mare, avrebbero dovuto assuefarsi ad un orario più lungo, ad una maggiore mole di lavoro e a una minore quantità di riposo rispetto agli altri soldati dell'esercito e divenire esperti in tutti gli aspetti militari dell'esplorazione: capacità di procedere furtivamente e di notare e riferire qualsiasi cosa avvenisse nelle vicinanze; di muoversi su qualsiasi tipo di terreno, di giorno e di notte, silenziosamente e senza farsi vedere.

Con uomini come questi, che per la maggior parte avevano gia passato sette o otto anni sotto le armi, il problema della disciplina era quasi inesistente. Essi avevano l'ambito privilegio di vivere in abitazioni civili anziché in caserme, privilegio che nessuno si sentiva di rischiare di prendere troppo alla leggera. Infatti, RTU (Returned to Unit, rinviato al reparto) fu sin dall'inizio una sigla motto temuta da ogni soldato dei commando, mentre le piccole punizioni e le fastidiose restrizioni erano fuori moda. La prima incursione Il primo ministro aveva espresso il desiderio che Clarke organizzasse al più presto un'incursione al di la della Manica. Anche un'operazione offensiva su scala ridottissima avrebbe dimostrato al mondo che l'esercito inglese era ancora vivo; ma la cosa non era facile. Gli uomini c'erano già ,anche se non ancora del tutto addestrati per il loro nuovo ed insolito compito, ma non erano disponibili mezzi da sbarco. Inoltre, pochi erano gli obiettivi degni di essere presi in considerazione e dei quali si avessero sufficienti notizie. Il Servizio informazioni inglese si stava da tempo preparando per una lunga lotta sul fronte occidentale, ma erano disponibili poche notizie particolareggiate suite postazioni tedesche dislocate lungo le coste europee. Nonostante tutte queste difficoltà, la prima incursione dei commando ebbe luogo meno di tre settimane dopo il giorno in cui questo nuovo tipo di unità era stato concepito. La notte del 23-24 giugno, il maggiore (in seguito generale di brigata) Ronnie Tod e 120 tra ufficiali e uomini della 11à compagnia autonoma presero il mare a bordo di quattro mezzi della RAF per sbarcare sulla costa francese in prossimità di Boulogne. Il caso volle che lo sbarco desse luogo soltanto ad una piccola scaramuccia con il nemico. Lo stesso Dudley Clarke, che aveva preso parte all'incursione in qualità di osservatore, fu colpito da una pallottola che gli asportà un pezzo di orecchio.

Poi, il 2 luglio 1940, Churchill scrisse: « Se i tedeschi sono riusciti a sbarcare alcune centinaia di uomini su Jersey, noi dovremmo elaborare piani per sbarcare segretamente di notte e uccidere o catturare gli invasori. Si tratta di una missione per la quale i commando sono particolarmente adatti ».

Le ricognizioni rivelarono che la guarnigione tedesca ammontava a 469 uomini; quasi tutti erano concentrati a St. Peter Porto, ma alcuni presidiavano postazioni di mitragliatrici lungo la costa. L'incursione fu effettuata la notte del 14-15 luglio da circa 100 uomini compagnia autonoma, guidati dal maggiore Tod e da circa 40 del commando n. 3 agli ordini del tenente colonnello Durnford Slater. I primi avevano come obiettivo l'aeroporto, i secondi una postazione nemica a Jerbourg Point che si rivelò poi inesistente. Non trovando alcun nemico da attaccare, Durnford Slater fu costretto a ritirarsi a mani vuote; ma, almeno, era sbarcato nel posto giusto.

La compagnia autonoma fu meno fortunata. Due delle sue lance fecero avaria durante il viaggio da Dartmouth, una terza incappò in uno scoglio, e la quarta, a causa di un errore di rotta, finì col dirigere verso Sark. I tedeschi che si trovavano all'aeroporto di Guernsey non furono quindi minimamente molestati.

Nessuno poteva dissentire dall'affermazione che le incursioni — ammesso che se ne volessero effettuare — dovevano essere efficaci, conseguendo risultati tangibili contro bersagli degni di questo nome; ma, considerando la cosa con il beneficio del « senno di poi », si rileva immediatamente che l'idea di « mettere in agitazione i tratti di costa controllati dal nemico con incursioni del tipo "colpo di spillo" » non era affatto cattiva. Quanto più i tedeschi fossero stati indotti a impegnare i loro uomini in compiti di difesa costiera, tanto meglio sarebbe stato. Le truppe messe a guardia della Manica non avrebbero potuto essere impiegate in Africa Settentrionale, nei Balcani o in Russia; e, in effetti, i tedeschi si dimostrarono sensibili ai « colpi di spillo », tendendo a rafforzare le difese in ogni tratto di costa dove i commando avessero fatto la loro apparizione. Le incursioni effettuare, per lo pin nel 1941, contro le coste norvegesi indussero effettivamente i tedeschi a rafforzare le loro guarnigioni di stanza in quel settore.

Nel luglio 1940 l'ammiraglio di squadra sir Roger Keyes, l'eroe dell'incursione di Zeebrugge (1918), fu nominato capo delle operazioni combinate. Nonostante i suoi 68 anni di eta, Keyes era un uomo attivo ed aggressivo. Era deciso a progettare incursioni degne di questo nome, e avendo ai suoi ordini 4.000 volontari scelti, riteneva di poterlo fare. Ma sin dall'inizio le sue speranze furono frustrate. I ministeri competenti per ogni singola forza armata, dai quali dipendeva per la fornitura di mezzi da sbarco e unità d'appoggio, armi, rinforzi e copertura di aerei da caccia, non erano affatto ansiosi, in un momento in cui ogni cosa scarseggiava, di fare gentili omaggi. Visti vani i suoi sforzi per organizzare altre incursioni della stessa entità di quella di Guernsey, sir Roger Keyes giunse gradualmente all'idea di mantenere inattive le sue truppe scelte, fino al giorno in cui, esasperate dal vedere 4.000 uomini impegnati a non fare nulla da tanto tempo, le autorità avrebbero finalmente deciso di permettergli di fare un'incursione veramente importante.

D'altra parte, non era poi cosi facile trovare un bersaglio. Le Azzorre vennero prese in considerazione e scartate. L'obiettivo divenne allora l'isola di Pantelleria. Ma, anche ammesso che fosse riuscito, lo sbarco di commando a Pantelleria avrebbe contribuito allo sforzo bellico inglese assai meno di quanto avesse giovato a Hitler l'occupazione delle isole Normanne da parte dei tedeschi — e cioè quasi nulla; non per niente nella Wehrmacht la guarnigione di stanza in quelle isole era soprannominata « legione tedesca del re ». Tenuto conto di quanto avrebbero potuto fare a Pantelleria, tanto valeva che gli uomini dei commando fossero internati in campi di prigionia.

Mentre i commando si addestravano senza costa per i compiti che li attendevano, ben presto apparve chiaro che il ministero della guerra e le Home Forces li consideravano con occhio tutt'altro che benevolo. Non passò motto tempo prima che ciò giungesse all'orecchio del primo ministro, il quale il 25 agosto 1940 scrisse ad Anthony Eden: « Sento che l'esistenza stessa dei commando viene messa, in discussione. E stato detto di "sospendere il reclutamento", in quanto anche il loro futuro é in discussione. Ho quindi pensato di scriverle per farle sapere quanto profondamente io sia convinto che i tedeschi hanno avuto ragione, tanto nell'ultima guerra quanto in questa, nel ricorrere all'impiego di truppe d'assalto... Non mancheranno certo le occasioni per impiegare queste formazioni in operazioni collaterali, operazioni il cui esito dipenderà dall'impiego di sbarchi a sorpresa di forze leggere e agili, abituate ad operare come mute di segugi anziché a essere manovrate nel modo lento e massiccio proprio delle formazioni regolari... Numerosi sono quindi i motivi per i quali noi dobbiamo incrementare ulteriormente le truppe d'assalto, ossia i commando ». Ma l'opposizione persisteva. I pregiudizi, sempre presenti nelle formazioni tradizionali delle varie armi e loro specialità, sono difficili da superare.

Come il resto delle Home Forces, i commando si tennero pronti a respingere l'invasione in quella notte di settembre, quando qualcuno aveva messo in circolazione la parola d'ordine « Cromwell » che significava che uno sbarco nemico era imminente. In autunno, poi, nel quadro della « politica delle grandi incursioni » di Keyes, l'intero contingente fu concentrato dapprima in campi non ancora ultimati a Inveraray e poi nell'isola di Arran.

Ma ancora una volta tutto fins in una bolla di sapone. Alla fine, dopo lunghissime chiacchiere, infiniti piani, infinite esercitazioni i commando vennero dispersi in nuove basi; la maggior parte fins sulle rive del Clyde, dove sarebbe rimasta di base per i successivi 18 mesi. Nello stesso tempo la Layforce, formata dai commando n. 7, 8 e 11 agli ordini del tenente colonnello Robert Laycock, partiva per il Medio Oriente, dove avrebbe operato in Siria, a Tobruch e a Creta.

Non si deve credere che gli uomini dei commando non avessero risentito di questo periodo di frustrante inattività. Alcuni fecero ricorso al loro diritto di ritornare volontariamente alle unità, che avevano lasciato, altri sfogarono la loro esasperazione con atti di indisciplina o nell'ubriachezza. Il generale di brigata Charles Haydon, un uomo che proveniva dalle Guardie irlandesi e che in quel momento comandava la brigata denominata dei « servizi speciali », non tardò ad avvedersi di queste tendenze e cercò di porvi rimedio.

Spettava agli ufficiali porre rimedio a questa situazione, ed egli fu prodigo di assennati consigli in merito. Il rimedio consisteva nell'esperimentare nuovi procedimenti tattici e nel perfezionare quelli che i commando stavano già applicando. Tra questi andavano annoverate le tecniche dell'assalto su coste a picco del tipo ancora oggi praticato dai marines e l'acquisizione di una particolare abilità, nel manovrare le imbarcazioni, si trattasse di canoe, dory o mezzi da sbarco. Uomo dotato di grande fascino, Haydon era amante della discipline senza essere un rigido pignolo; egli eccelleva in modo particolare nell'attività di addestramento e le brillanti capacità professionali facevano di lui un comandante ideate per gli audaci uomini dei commando di quei primi giorni. Durante questo periodo l'organizzazione dei commando subi due importanti modifiche. Al momento della costituzione, ogni unità comprendeva 10 gruppi di 50 uomini ciascuno. Non si trattava di una struttura indovinata, in quanto, considerato come unità a se stante, il gruppo risultava troppo debole, poco più forte di un plotone. Inoltre dieci reparti in sottordine sono troppi perché qualsiasi comando possa manovrarli in modo tatticamente efficace, né per altro sarebbe stato possibile assicurare a tutti lo stesso livello di preparazione sul piano dell'addestramento. Nell'ottobre del 1940 si decise una prima riorganizzazione della struttura che portò a risultati ancora peggiori: i commando furono raggruppati a coppie in battaglioni servizi speciali e la scelta dei reparti da abbinare era stata fatta per estrazione a sorte.

Fortunatamente questa inadeguata sistemazione ebbe breve vita, e nel febbraio marzo 1941 i commando furono riorganizzati per l'ultima volta. Da quel momento in poi ogni commando sarebbe stato formato da cinque gruppi di tre ufficiali e 62 uomini ciascuno, e da un gruppo dotato di armi pesanti forte di circa 40 unità. Si trattò indubbiamente di un sensibile miglioramento, anche se non manca chi fa osservare che una forza di 65 uomini era piuttosto esigua per un gruppo al quale si chiedeva sempre di fare quanto di regola faceva una compagnia di fanteria di 120 uomini. Probabilmente il numero ideale per gli effettivi di ciascun gruppo avrebbe dovuto essere dell'ordine di 80-90. D'altra parte, 65 uomini era esattamente quanto potevano trasportare due mezzi da sbarco.

La seconda riorganizzazione segnò la conclusione di una fase particolare nell'evoluzione dei commando in quanto, grazie alla riduzione del numero degli ufficiali da 30 a 18, i comandanti, che avevano avuto a disposizione nove mesi per decidere se le scelte fatte nel giugno 1940 fossero state azzeccate, si videro fornire un'occasione ideale per tenere solo quegli ufficiali che si erano meglio dimostrati all'altezza del compito. In questa fase, proprio quando le sorti dei commando stavano ormai attraversando il periodo più sfavorevole, venne finalmente organizzata un'incursione su grande scala.

Obiettivo le isole Lofoten

Gli obiettivi si trovavano sulle isole Lofoten, circa 850 miglia a nord-est di Scapa Flow; qui furono riunite le forze destinate a partecipare all'incursione. In quel periodo i tedeschi ricevevano dagli stabilimenti norvegesi preziose forniture di olio di merluzzo e di aringa, olio dal quale ricavavano poi nitroglicerina per esplosivi e vitamine A e D per i soldati; nello stesso tempo ingenti quantità di pesce, fresco o congelato, venivano esportate in Germania. La, distruzione delle fabbriche in cui veniva ricavato l'olio, obiettivo prescelto dal ministero per la guerra economica, costituiva lo scopo principale della spedizione, mentre quello secondario era rappresentato dalla distruzione delle navi da trasporto tedesche. Risultati collaterali avrebbero poi dovuto essere l'arruolamento di nuove reclute per le libere forze norvegesi e l'arresto dei collaborazionisti. La formazione comandata dal generale di brigata Haydon era composta da due commando, ciascuno forte di 250 uomini, affiancati da alcuni distaccamenti, ciascuno di 52 uomini, di genieri specializzati in demolizioni e da alcuni norvegesi che sarebbero serviti da guida e da interprete. Le truppe vennero imbarcate su due traghetti olandesi, di regola destinati ai trasporti sulla Manica, trasformati per l'occasione in mezzi da sbarco. Segnalazioni molto dettagliate indicavano la presenza di postazioni tedesche forti di circa. 20 uomini ciascuna su parecchie delle isole, mentre Stamsund e Svolvr parevano del tutto sguarnite. I presidi più vicini si trovavano a Narvik e Bodo. In gennaio erano stati avvistati alcuni U-Boot a Narvik, e si sapeva che i convogli costieri erano scortati da motopescherecci armati; ma nell'intero settore non era stata segnalata la presenza di alcuni nave da guerra. Per quanto riguardava eventuali attacchi aerei, non c'era molto da temere, dato che in quella stagione tutti i campi di aviazione a nord di Trondheim non potevano essere utilizzati che da aerei muniti di sci.

Una forza di copertura agli ordini del comandante in capo della Home Fleet e comprendente le corazzate Nelson e King George V, gli incrociatori Nigeria e Dido e cinque cacciatorpediniere avrebbe garantito alla formazione d'assalto una navigazione tranquilla, mentre al sommergibile Sunfish, era stato affidato il compito di badare a che lo sbarco si svolgesse senza interferenze. II 4 marzo, le unità da sbarco salparono, ed era giorno pieno quando giunsero in prossimità degli obiettivi. Comunque, la sorpresa fu completa. Una salva sparata dal cacciatorpediniere Legion mise in allarme i soldati accalcati sui loro mezzi da sbarco, ma ben presto fu chiaro che si era trattato semplicemente di un ammonimento alla flottiglia di pescherecci norvegesi affinché rientrasse in porto cosa che, dopo aver innalzato la loro bandiera nazionale, essi si affrettarono a fare. Ovunque lo sbarco non incontro la benché minima resistenza, anche se il motopeschereccio armato tedesco Krebbs, attaccò l'unità inglese Somali; quasi subito colpita e incendiata, l'imbarcazione tedesca fu costretta ad arrendersi. A Svolvaer il commando n. 4 fece una retata di oltre 200 tedeschi che stavano lavorando alla costruzione di un campo di aviazione. Essi non fecero resistenza. Le fabbriche vennero ben presto individuate, e le cariche di esplosivo, già predisposte, opportunamente collocate. Ovunque i lavori di demolizione furono portati a termine con completo successo, e si valutò che oltre 36.000 ettolitri di olio e benzina fossero stati dati alle fiamme. Undici navi per un tonnellaggio complessivo superiore alle 20.000 tonnellate furono catturate, ed un motopeschereccio fu inviato in Inghilterra. I volontari norvegesi raccolti ammontarono a 314, i prigionieri a 216 tedeschi e a circa 60 i sospetti collaborazionisti. A quanto pare la sola vittima inglese fu un ufficiale del commando feritosi con la sua stessa pistola, avventatamente infilata in una tasca dei pantaloni. La stampa inglese non mancò di dare il massimo risalto a questo successo. Una volta tanto i tedeschi erano stati colti completamente alla sprovvista.

I potenziali obiettivi continuavano ad essere difficili da scoprire. Una piccola incursione sulla costa francese, in prossimità di Ambleteuse, effettuata il 27-28 luglio- da un ufficiale e 16 uomini del commando n. 12 riportà un parziale successo, ma solo nell'agosto 1941 venne effettuata un'altra incursione su grande scala. Anche se non era stata affidata ai commando, essa costitui comunque un importante capitolo nella storia delle operazioni combinate.

Il 22 giugno 1941 i tedeschi invasero la Russia, e in luglio Gran Bretagna, URSS e Norvegia firmarono un accordo in base al quale i tre paesi si impegnavano a prendere provvedimenti immediati per impedire che il carbone delle Spitzbergen cadesse in mano tedesca. Poiché non si pensava fosse prudente mantenere in quelle isole una guarnigione, era necessario rendere inutilizzabili le miniere.

L'arcipelago delle Spitzbergen si trova a 370 miglia dal punto più settentrionale della Norvegia, paese al quale appartiene. I ricchi giacimenti di carbone dell'isola più grande, Spitzbergen occidentale, erano stati sfruttati a partire dal 1931 da un'impresa russa che impiegava circa 2.000 cittadini sovietici su di una popolazione complessiva di circa 2.800 unità.

La formazione selezionata per questa operazione era formata dai distaccamenti di fanteria leggera Edmonton and Saskatoon al comando del generale di brigata A.G. Potts, nonché da alcuni distaccamenti di genieri composti da inglesi e da norvegesi. La scorta navale era comandata dal contrammiraglio P.L. Vian, che nel 1940 si era distinto catturando l'Altmark.

Lo sbarco fu effettuato il 25 agosto, e ancora una volta accadde che l'incursione inglese non incontrasse alcuna resistenza. Furono prese disposizioni per l'evacuazione dei russi in patria e dei norvegesi nel Regno Unito. Le squadre addette ai lavori di demolizione procedettero alla rimozione o alla distruzione dei componenti essenziali del macchinario e del sistema di nastri trasportatori attraverso i quali ii carbone giungeva fin suite banchine. Circa 540.000 tonnellate di carbone e 12.500 ettolitri di nafta, benzina e grasso furono dati alle fiamme. La nave da trasporto che aveva riportato in Russia i cittadini sovietici ritornò con 200 ufficiali e soldati francesi che, fuggiti dai campi di concentramento tedeschi, desideravano ora combattere con il generale de Gaulle. Mentre gli inglesi si trovavano sull'isola, le due stazioni radio continuarono a trasmettere, come di consueto, bollettini meteorologici. I tedeschi non ebbero quindi alcun sospetto; inoltre, poiché per scoraggiare possibili visitatori gli inglesi avevano segnalato la presenza di banchi di nebbia (del tutto immaginari), i tedeschi non effettuarono alcun volo di ricognizione sulle isole. Questi stratagemmi ebbero pieno successo. 1 tedeschi vennero a conoscenza dell'operazione « Gauntlet » (Guanto) solo quando il reparto inglese era ormai rientrato incolume alla base. Le due stazioni radio furono fatte saltare prima che gli uomini che avevano preso parte all'incursione lasciassero l'isola, e sulla via del ritorno, nella notte del 3-4 settembre, essi sentirono con soddisfazione la stazione radio tedesca di Tromsti chiamare invano le Spitzbergen.

Lord Louis Mountbatten, che succedette a Keyes, si era gia guadagnato una grande fama al comando del cacciatorpediniere Kelly. Nella nuova attività egli portò una carica di energia, immaginazione e decisione. Grazie al fatto di essere cugino del re e di essere stato scelto personalmente dal primo ministro, egli poté iniziare il suo lavoro senza dover fare i conti con indebiti ostacoli. Mountbatten intendeva organizzare incursioni che colpissero realmente il nemico.

L'infruttuosa visita di 88 tra ufficiali e soldati del commando n. 9 a Houlgate, sulla costa francese, il 23-24 novembre, servì soltanto a dimostrare che non si era ancora capito quanto fosse vitale stabilire e mantenere adeguati collegamenti tra terra e nave. Non per nulla il nuovo capo delle operazioni combinate era stato un esperto nel settore delle comunicazioni, ed era naturale che egli dedicasse a questo problema una speciale attenzione.

Non erano ancora passati due mesi dacché Mountbatten era stato assegnato al suo nuovo incarico, quando venne organizzato un ben diverso tipo di incursione. Il 27 dicembre 1941 una formazione inglese effettuò un'incursione contro il piccolo porto di Sönd Vaags; questo porto si trova sull'Ulvesund, una parte di quello stretto passaggio denominato Indreled che si estende lungo buona parte della costa norvegese. Appunto lungo 1'Indreled, delimitato a est dalla terraferma e a ovest da una catena di isole, fluiva buona parte del traffico costiero tedesco.

All'estremità settentrionale dell'isola di Vaags, l'Ulvesund si apre in un'ampia baia in corrispondenza della quale la catena di isole presenta un varco. Per questa ragione le navi tedesche tendevano a raggrupparsi a Sönd Vaags, aspettando l'occasione propizia per raggiungere il mare aperto e doppiare la tempestosa penisola di Statlandet. L'ancoraggio era protetto da una batteria situata sull'isoletta di Maal, nel punto in cui l'Ulvesund si congiunge con il Vaagsfjord. Una batteria di due cannoni sull'isola di Rugsund copriva l'accesso attraverso Vaagsfjord. Si riteneva che la locale guarnigione fosse forte di circa 150 uomini, e sulla loro dislocazione si aveva una ricca serie di informazioni.

La formazione era agli ordini del contrammiraglio H.M. Burrough e del generale di brigata J.C. Haydon. Le unità navali di scorta comprendevano l'incrociatore Kenya (armato con cannoni da 152 mm), nonché i cacciatorpediniere Chiddingfold, Off a, Onslo e Oribi della 17a flottiglia cacciatorpediniere. Il sommergibile Tuna doveva fungere da radiofaro al largo dello sbocco del Vaagsfjord, mentre le truppe erano trasportate dalle navi d'assalto per fanteria Prince Charles e Prince Leopold. II reparto d'assalto, composto da 51 ufficiali e 525 fra sottufficiali e soldati, comprendeva il commando n. 3 e aliquote del commando n. 2, mentre il n. 4 aveva messo a disposizione un distaccamento del servizio sanitario ed il n.6 una squadra specializzata nei lavori di demolizione. II capitano Linge e 20 dei suoi soldati norvegesi fungevano da guide e da interpreti; alla formazione erano infine aggregati numerosi ufficiali di un ufficio informazioni del ministero della guerra, nonche un piccolo gruppo di corrispondenti di guerra e fotografi. La RAF mise a disposizione 10 Hampden del 50º gruppo: essi avrebbero sganciato bombe fumogene al fosforo da 25 chili nelle zone dei due principali punti di sbarco e bombardato i campi di aviazione pia vicini Herdla, Stavanger e Trondheim. Scopo strategico dell'incursione era quello di molestare i tedeschi in modo da indurli a impiegare una maggiore quantità di truppe nella sorveglianza delle coste norvegesi. Scopo tattico era la distruzione della guarnigione, delle fabbriche di olio di pesce e delle navi da trasporto tedesche; scopi collaterali erano l'arruolamento di volontari norvegesi e la cattura di collaborazionisti. E la guerra non stava andando cosi bene che l'opinione pubblica inglese potesse fare a meno di una vittoria.

La traversata da Scapa Flow a Sollumvoe fu alquanto difficoltosa, con un mare forza 7 o 8 le cui ondate, spazzavano la coperta delle navi. La tempesta arrecò danni tali da costringere a ritardare di un giorno l'operazione, e alla fine, con il mare di poppa, la formazione diresse verso la Norvegia. La navigazione del Kenya, l'unità che recava a bordo il comando, fu cosi precisa che le navi raggiunsero la posizione del Tuna con meno di un minuto di ritardo rispetto all'ora prevista. Era ancora buio, e quando si riunirono in coperta i soldati poterono scorgere le luci che scintillavano a terra. I fari di Hardenoes e Bergsholmene erano in funzione, sebbene con una luminosità ridotta: era chiaro che, come alle Lofoten, la sorpresa era completa. Faceva molto freddo per coloro che, sui ponti, erano in attesa di agire. Nel momento in cui i mezzi da sbarco vennero calati in acqua, sopraggiunsero gli Hampden, suscitando l'immediata reazione dei cannoni contraerei leggeri tedeschi. Erano le ore 8.42 quando i mezzi da sbarco cominciarono a risalire il fiordo, dirigendo verso i loro obiettivi. Era già l'alba quando la flottiglia doppiò la punta giungendo in vista dell'isola di Maal. Ora ogni cosa dipendeva dal Kenya.

Alle ore 8.48 il Kenya, che stava ancora avanzando lentamente, lanciò alcuni razzi illuminanti che si accesero proprio al di sopra dell'isola di Maal, rendendo visibile il bersaglio. Mezzo minuto dopo inizio il bombardamento; l'isola scomparve progressivamente in una nube di fumo, ed in quel momento entrarono in azione anche i cacciatorpediniere Onslow e Off. Alle 8.56 la batteria di Rugsund, che era stata precedentemente bombardata, apri un fuoco lento e impreciso sul Kenya, ma venne rapidamente ridotta al silenzio e se la batteria di Maal fece fuoco, nessuno del commando se ne accorse.

Alle 8.57 Durnford Slater segnalò di sospendere il fuoco. In quel momento i mezzi da sbarco si trovavano già da circa 7 minuti dalla batteria, un periodo di tempo che sarebbe stato sufficiente ad affondarli tutti, se i cannoni fossero entrati in azione; ma l'opposizione incontrata dai commando si ridusse ad un paio di mitragliatrici che snocciolavano via le loro raffiche dall'altura sovrastante il punto di sbarco del secondo gruppo, con i loro Bren gli inglesi risposero efficacemente al fuoco tedesco.

Nel cielo continuavano ad incrociare gli Hampden, avvolgendo i due principali punti di sbarco nella densa nube sollevata dalle loro bombe fumogene da 25 chili, quando improvvisamente l'unico cannone contraereo leggero in postazione sull'isola di Maal cominciò a sparare furiosamente, ben presto imitato dal motopeschereccio armato Foehn. Uno degli aerei fu colpito e inavvertitamente sganciò una delle sue bombe al fosforo su di un mezzo da sbarco, mettendo fuori combattimento molti uomini del 4º gruppo; ma intanto, raggiunta la costa, i commando stavano già lanciandosi nell'entroterra.

Gli uomini del 2º gruppo raggiunsero i sobborghi di Vaags prima che i tedeschi fossero riusciti a portarsi ai loro posti di combattimento, e il tenente Lloyd (4º gruppo) colse in un'imboscata una pattuglia nemica che stava cercando in tutta fretta di raggiungere le proprie postazioni. Si svolse poi lo scontro più accanito dell'intera giornata. Nucleo delle forze di difesa tedesche era costituito da un plotone al comando dell'Oberleutnent Bremer che, posto in allarme, era schierato nel caposaldo di fanteria e nelle case dell'estremità meridionale della città. Bremer rimase ucciso nel corso del primo assalto, ma due sergenti maggiori, Lebrenz e Passow, continuarono la lotta. Grazie all'accanita resistenza opposta questo plotone, che sopportò il maggior peso dell'attacco, il comandante del porto, sottotenente di vascello Sebelin, ebbe tempo di improvvisare una seconda linea di difesa imperniata sull'Ulvesund Hotel, con marinai, impiegati e tutti gli uomini che riusci a radunare.

Di casa in casa, i commando continuavano ad avanzare, pagando ogni passo avanti con la perdita di un ufficiale o di un sottufficiale. Il capitano Giles (3º gruppo) snidò i tedeschi da una casa per restare poi mortalmente ferito nel momento in cui si affacciava alla porta posteriore. Il capitano Forrester (4º gruppo) cadde ucciso attaccando to Hagen Hotel; qui trovò la morte anche il capitano norvegese Martin Linge. Ben presto i due gruppi di punta si trovarono ad avere un solo ufficiale ancora illeso. L'attacco sembrava aver perso slancio e mordente quando il caporale White, del reggimento Queen's Own Royal West Kent, sfruttando la copertura offerta dal fuoco dell'unico mortaio da 76 mm disponibile, guidò l'attacco contro l'Ulvesund Hotel.

Sull'isola di Maal tutto andò bene. Le postazioni di artiglieria caddero in mano inglese prima ancora che facesse la sua comparsa il primo tedesco. Ucciso questo, il sergente Herbert, decorato al valore, e due uomini del suo plotone sorpresero il comandante della batteria, capitano Batziger e quasi tutti i suoi uomini, tranquillamente seduti nel loro bunker in attesa che l'incursione aerea cessasse; i serventi del cannone contraereo tentarono di opporre resistenza, ma dopo un breve scontro i tedeschi furono costretti ad arrendersi. In otto minuti fu tutto finito, e il maggiore Churchill poté inviare il capitano Ronald (5º gruppo) sul suo secondo obiettivo, la fabbrica di Mortenes, ove le squadre addette alla demolizione si misero al lavoro.

A Vaags, invece, dopo che numerosi ufficiali e sottufficiali erano caduti, le core stavano mettendosi male per i commando. Poiché le radio trasmittenti dei due gruppi di punta erano inservibili, dovette passare qualche tempo prima che ci si rendesse conto che l'assalto iniziale aveva perso il suo slancio. Alle ore 10.20 Durnford Slater segnalò al generale Haydon che all'estremità settentrionale della città la situazione era incerta, e poco dopo si mise in contatto con lui per chiedere che gli venisse inviata in appoggio l'unità di riserva che si trovava ancora sulle navi. Questa prese terra agli ordini del capitano Hooper, nel primitivo punto di sbarco. Il colonnello decise anche di far confluire a Vaags il 2º gruppo che stava operando a Hollevik, e chiese al suo vicecomandante di inviargli tutti gli uomini che non fossero indispensabili a Maal. Alle 10.30 il colonnello si spinse avanti in ricognizione, lanciando all'attacco la sue riserve mano a mano che arrivavano. Nel frattempo era stato conquistato lo Hagen Hotel, ma tutte le altre riserve erano ormai state impegnate, l'intenso fuoco di fucileria non accennava a diminuire d'intensità e i diversi gruppi sembravano essersi frammentati in esigue pattuglie. Ci trovavamo a circa un terzo della strada che risaliva l'abitato su di un fronte stretto tra una altura completamente priva di vegetazione e un fiordo ghiacciato, e si ebbe l'impressione che l'attacco fosse giunto ad un punto morto. Sembrava che la sola possibile direttrice d'avanzata adeguatamente protetta ci fosse offerta dalla irregolare fila di fabbriche allineate lungo la costa, il colonnello diede il permesso di tentare un'avanzata lungo questa via. La fortuna volle che il tenente Denis O'Flaherty con una piccola pattuglia del 2º gruppo avesse già cacciato i tedeschi dalla prima fabbrica; la linea di partenza era dunque sicura. Avanzammo furtivamente tra gli edifici, e dopo aver messo in posizione un fucile mitragliatore Bren che coprisse con il suo fuoco ci precipitammo in un magazzino dove facemmo quattro prigionieri. Avevamo attraversato il tratto scoperto con tanta rapidità che essi non avevano avuto il tempo di sparare neppure un colpo. Sembrava che le cose andassero bene. Proprio in quel momento due dei nostri uomini furono colpiti, ma come di solito accade quando si combatte nelle strade, non avevamo la più pallida idea sulla provenienza di quei colpi. Il colonnello ci raggiunse. Dobbiamo andare avanti disse, e noi tentammo una nuova puntata, questa volta in direzione di un deposito. Quando ci lanciammo avanti non sapevamo se l'edificio fosse o no occupato. Penso che vi si trovassero soltanto due tedeschi; quel che e certo e che i difensori non sembravano disposti ad arrendersi: dopo averci accolto con un nutrito lancio di bombe a mano, di fronte alla nostra replica si ritirarono in un locale interno. Dopo che le nostre bombe furono esplose penetrai nel primo locale. Decidemmo allora di incendiare l'edificio; finalmente, quando all'interno l'atmosfera divenne irrespirabile, i tedeschi uscirono fuori. Ma io avevo lasciato un fucile mitragliatore Bren a sorvegliare la porta.

Ritengo che nel corso di quella mattinata a Vaags si svolsero almeno una dozzina di scontri di questo genere. All'incirca alle ore 11.45 il colonnello, che non si era mai allontanato dalla mischia e che era stato leggermente ferito da una bomba a mano, ordinò una sospensione dei combattimenti e ritornò al suo comando. Nel frattempo ci eravamo impadroniti di quasi tutte le fabbriche d'olio di pesce, e ben pochi soldati della guarnigione tedesca erano ancora vivi. Le squadre addette alle demolizioni si diedero da fare a collocare le cariche di esplosivo già predisposte, e alle ore 13 le unità avanzate si ritirarono; entro le ore 14.45 l'ultimo uomo era risalito a bordo. Le perdite subite dagli inglesi ammontarono a 20 morti e 57 feriti, oltre a numerosi aerei; inoltre un bombardiere nemico aveva sganciato un grappolo di bombe cosi vicino al Prince Charles da mettergli fuori uso una caldaia. Le perdite tedesche non sono note con precisione; ma comprendevano 98 prigionieri, nonché 4 cannoni da campagna, un cannone contraereo e un carro armato distrutti. La Royal Navy aveva tolto al nemico 16.000 t di naviglio.

Il risultato di Vaags può essere valutato in tutta la sua portata soltanto se si tiene conto delle ripercussioni che l'incursione ebbe sul principale avversario della Gran Bretagna, Hitler. Il Führer chiese di essere messo al corrente il più presto possibile dei dettagli dell'incursione, e già il 29 dicembre sul suo tavolo si trovava un rapporto stilato dall'OKW. Se gli inglesi saranno abbastanza intelligenti, disse Hitler, essi attaccheranno la Norvegia settentrionale in più punti. Mediante un attacco massiccio di unità da guerra e di truppe essi tenteranno di soppiantarci in quel settore, di occupare Narvik e di esercitare quindi una certa pressione su Svezia e Finlandia. Tutto cio potrebbe avere un'importanza decisiva per l'esito finale della guerra. La marina da guerra tedesca deve quindi impiegare tutte le sue forze per difendere la Norvegia. A tal fine sarà opportuno trasferire in quel settore tutte le navi da battaglia e le corazzate tascabili di cui disponiamo. L'OKW si affrettò a tener conto degli umori del capo. Ben presto 12.000 uomini furono in viaggio verso la Norvegia per completare i ranghi delle divisioni di Falkenhorst. Essi furono poi seguiti da altri 18.000 uomini destinati a formare battaglioni da fortezza; per appoggiare i difensori venne costituita una nuova divisione corazzata. Dopo un giro d'ispezione effettuato in febbraio dal rappresentante personale di Hitler, feldmaresciallo List, le truppe stanziate in Norvegia furono accresciute di tre nuove divisioni, nonché di una notevole quantità di nuovi pezzi di artiglieria destinati alla difesa costiera; questo processo sarebbe poi continuato, stimolato da qualsiasi atto di sabotaggio, fino a che, nel momento dell'invasione alleata della Francia, nel 1944, gli effettivi tedeschi in Norvegia giunsero ad un totale di 372.000 uomini. Tra i fattori che avevano contribuito a determinare questo sviluppo cosi favorevole agli alleati, il più importante era stata la significativa impresa di Vaags.