La Campagna in Africa Settentrionale

Parte Iª

Premesse

Da un precedente esame della situazione strategica, dello stato maggiore italiano, era risultato che " la decisione di un futuro conflitto contro Francia e Inghilterra in cui fosse coinvolta l'Italia si sarebbe avuta in Africa settentrionale". Ciò avrebbe dovuto logicamente significare la necessità di provvedere a munire la colonia italiana in maniera adeguata con unità bene armate idonee alla guerra moderna nel deserto.

Effettivamente fino al 1935 gli italiani avevamo mantenuto in Libia non più di 20.000 uomini necessari per le esigenze della sicurezza interna, non vi era organizzazione difensiva alle frontiere e nessuna organizzazione logistica adeguata alle forze. Durante la tensione della guerra etiopica il presidio fu notevolmente aumentato ma soltanto nel gennaio 1937 il problema dell'Africa Settentrionale fu affrontato in seno alla Commissione Suprema di difesa e subito dopo, fu disposta l'istituzione di un comando superiore delle forze armate che disponeva di due corpi d'armata e quattro divisioni (60.000 uomini complessivamente) e all'organizzazione difensiva delle frontiere. Nel 1938 fu deciso di costituire un corpo di spedizione (due corpi d'armata, quattro divisioni) da inviare in rinforzo dall'Italia se necessario. Se dal lato organizzativo l'Italia si era data da fare, in fatto di motorizzazione la situazione era critica, non vi erano abbastanza autocarri, per i mezzi corazzati l'armata africana disponeva soltanto di carri leggeri, da 3 tonnellate, armati di sola mitragliatrice successivamente nel luglio del 1940, dopo l'inizio dello stato di guerra ricevette 70 carri medi, da 11 tonnellate armati con cannoncino da 37 mm. Una deficienza cronica riguardava la quasi totale assenza di difesa contraerea e dalla carenza delle armi controcarro. L'aviazione poi era un grosso campionario di materiali antiquati in gran parte e spesso indisponibili per le continue riparazioni.

Nel 1938 i piani operativi degli italiani prevedevano di assumere un atteggiamento difensivo sulla frontiera tunisina, per assicurare la copertura di Tripoli e di far massa alla frontiera egiziana per un'offensiva, i cui obiettivi, alquanto ambiziosi, erano l'occupazione di Alessandria. Sia il maresciallo Balbo governatore e comandante superiore delle forze in Africa Settentrionale, che il generale Pariani capo di stato maggiore dell'esercito concordavano: per l'Africa Settentrionale erano necessarie non meno di 18 divisioni, di cui 6 per la difesa e 12, auto trasportabili, per l'offensiva. Allo scoppio della guerra europea, durante il periodo della non belligeranza italiana venne effettuato il trasferimento delle quattro divisioni metropolitane di rinforzo, cui si aggiunsero successivamente altre quattro divisioni di " camicie nere " di costituzione pressoché identica. Le truppe indigene vennero raggruppate in due divisioni. Il comando superiore italiano disponeva quindi di 14 divisioni che in base alle direttive dello stato maggiore dell'esercito, assunsero il seguente schieramento: un'armata su 3 corpi d'armata e 9 divisioni allo scacchiere occidentale, giudicato il più pericoloso; un'armata su 2 corpi d'armata e 5 divisioni allo scacchiere orientale; un raggruppamento di truppe speciali allo scacchiere sahariano.

Alla vigilia dell'intervento italiano il 31 marzo 1940, il rapporto delle forze contrapposte in Africa Settentrionale era cosi valutato dagli italiani: italiani 130.000 uomini; francesi (Marocco, Algeria, Tunisia) 314.000 uomini; anglo egiziani 100.000 uomini. Si doveva inoltre tenera conto della presenza potenziale delle truppe francesi del generale Weygand in Siria (200.000 uomini) e di quelle inglesi del generale Wavell nel Medio Oriente. Con l'affluenza di 80.000 complementi in via di trasferimento, e con l'assegnazione di un'altra divisione gli italiani sarebbero giunti a una forza di oltre 200.000 uomini, circa la metà di quella complessiva dei due avversari ritenuta sufficiente per la difesa.

L'aviazione italiana disponeva di una settantina di apparecchi da bombardamento altrettanti da caccia e una quindicina per l'osservazione aerea. La situazione concreta quale si presentava allo scoppio delle ostilità indusse Balbo a rinforzare la sua armata orientale ( 10ª) a spese di quella occidentale (la 5ª), era tentato di occupare il ciglione di Sollum ma era sempre trattenuto dalla conoscenza della propria inferiorità. Quando giunse da Roma l'autorizzazione a invadere l'Egitto ci si accorse che Balbo aveva taciuto il prezzo dei suoi piani: gli occorrevano un migliaio di autocarri un centinaio di autobotti, batterie contraeree e controcarro, carri medi, mezzi di trasmissione e radio. Il 25 luglio ricevette da Badoglio la promessa di ricevere i materiali richiesti, compresa l'aviazione. Frattanto l'armistizio con la Francia era stato firmato la Tunisia era fedele al governo di Vichy e Balbo poteva ormai attingere alla 5ª armata gli automezzi che gli occorrevano per il potenziamento della 10ª, ma la sera 28 giugno Balbo fu abbattuto a Tobruch, per un errore dalla contraerea italiana mentre rientrava da un volo di ricognizione.

Il nuovo comandante, Graziani, dopo una approfondita ricognizione rinnovò l'urgente richiesta di materiali già avanzata da Balbo e sottolineò l'insufficienza della sua aviazione. Badoglio insistette perché l'offensiva fosse sferrata il 15 luglio in sincronismo con una presunta azione tedesca contro le isole britanniche. Il 4 luglio riunì a rapporto i suoi comandanti ed espose il proprio concetto operativo in relazione all'ordine ricevuto: avanzare lungo la direttrice costiera con obiettivo Sollum; si sarebbe deciso successivamente se procedere oltre qualora il nemico non avesse opposto resistenza, oppure sostare per riorganizzarsi in vista di una fase successiva, nel frattempo si sperava sarebbero giunti i mezzi . Il piano venne prospettato a Roma ma Badoglio non era d'accordo e il 15 luglio comunicò a Graziani che non valeva la pena di muovere per cosi poco ed era meglio attendere l'arrivo dei materiali e agire in profondità. Un convoglio con gran parte dei mezzi richiesti sarebbe dovuto arrivare il 27 luglio e l'attacco iniziare il 3 o 4 agosto, ma a causa di ritardi, si accennò al 15 agosto e infine venne lasciata al maresciallo Graziani piena libertà di decisione.

E qui ci fu un clamoroso colpo di scena, in una lettera di Graziani, in data 29 luglio, rivelò a Roma che le sue perentorie richieste rappresentavano soltanto un espediente per procrastinare l'atto offensivo che gli si voleva imporre e che in realtà egli non intendeva affatto di intraprendere, almeno non nella stagione estiva, dato l'ambiente fisico e topografico, massime del calore annuale, risorse idriche scarsissime unica direttrice di marcia tra il mare e il deserto e conseguente impossibilità di manovra nel campo strategico e molto limitata anche nel campo tattico, enorme massa in movimento motorizzato con enormi consumi d'acqua. Mai in precedenza erano state prospettate difficoltà alle ripetute sollecitazioni di organizzare l'offensiva. Graziani venne convocato a Roma per il 5 agosto e si decise di effettuare un'offensiva a obiettivi limitati, per alleggerire la molesta pressione britannica sulla frontiera cineraria ed assicurarci una base per il successivo sbocco nel deserto orientale, oltre il ciglione di Sollum. Nuove implicazioni d'ordine politico tornarono a prevalere sulla ragione militare. Mussolini non voleva lasciarsi cogliere dalla vittoria definitiva dei tedeschi che giudicava imminente, Graziani assicurò che gli ordini sarebbero stati eseguiti e provvide senz'altro ad emanare le conseguenti direttive al comandante della 10ª armata generale Berti: pronti a muovere dal 27 agosto con il XXI corpo d'armata ed il gruppo divisioni libiche; obiettivo in un primo tempo il ciglione di Sollum; in caso favorevole, massimo sfruttamento del successo puntando su Sidi el Barrani.

Nella pianificazione dell'offensiva italiana le forze avversarie antistanti erano state valutate in tre divisioni di cui una corazzata a oltre al Camel Corps (corpo cammellato). Il terreno di avanzata suggeriva disegni operativi più o meno obbligati: il ciglione di Sollum scosceso in tutto il suo sviluppo, è attraversabile per le colonne motorizzate solo in corrispondenza dei due passi di Sollum e di Halfaya, seguiti dalle corrispondenti strade non asfaltate su tracciati impervi nella sezione settentrionale, e oltre 50 km verso sud, lungo la pista camionabile di Bir Sofafi. Il concetto dell'azione originale era di far procedere il XXI corpo d'armata metropolitano con due divisioni in prima schiera e una divisione in riserva lungo la direttrice costiera e di affidare al gruppo divisioni libiche completate dal più mobile raggruppamento Maletti, un ampio movimento aggirante per la destra. Ma alla data stabilita gli autocarri necessari non erano ancora giunti dall'Italia e il comandante decise di modificare il suo piano: far massa sulla sinistra, a cavallo della comunicazione costiera con obiettivo Buq Buq Sidi el Barrani. Le divisioni libiche con le fanterie appiedate avrebbero proceduto in prima schiera, il XXI corpo avrebbe seguito il loro movimento in seconda schiera autoportato e il raggruppamento Maletti avrebbe seguito una direttrice più meridionale per la protezione del fianco destro e potenziale minaccia di aggiramento, a piccolo raggio, nei riguardi delle eventuali resistenze avversarie lungo la rotabile. All'alba del 13 settembre il dispositivo di attacco si mise in moto. Gli inglesi sotto la spinta preponderante dell'attacco condussero un'azione di contrasto a carattere temporeggiante, ripiegando senza lasciarsi mai agganciare in veri e propri combattimenti. Serie difficoltà trovarono le colonne attaccanti nella discesa del ciglione di Sollum e dell'Halfaya, una volta incanalate nei passaggi obbligati segnati dalle strade: attardate da numerose e importanti interruzioni operate dagli inglesi, e da una larga distribuzione di mine e infine sottoposte ad intensi concentramenti di tiro di artiglieria validamente integrato da ripetuti interventi del bombardamento aereo. Il raggruppamento Maletti incontrò gravi difficoltà attribuibili in gran parte, alla inadeguatezza dei mezzi motorizzati di cui disponeva in relazione alle caratteristiche del terreno accidentato e sabbioso che doveva attraversare. L'attacco principale dopo vari scontri con le retroguardie avversarie raggiunse l'obiettivo di Sidi el Barrani il 16 settembre. Le perdite italiane furono di 120 morti e 410 feriti; di poco inferiori quelle denunciate dagli inglesi. L'operazione aveva fatto guadagnare, agli italiani, una buona base di lancio per ulteriori avanzate ma per risultare redditizio, lo sforzo compiuto sarebbe dovuto essere seguito da un nuovo scatto per il quale erano invece assolutamente impreparati.

Il punto di vista inglese.

Nonostante le difficoltà, in cui si trovava la Gran Bretagna, il generale Wavell comandante dell'esercito inglese in Nord Africa riuscì a raggiungere, in quattro distinti campi di sua competenza risultati la cui importanza si sarebbe sentita nella campagna del 1940 41. Egli girò in lungo e in largo il territorio facendo la conoscenza dei comandanti in sottordine e dei funzionari ed effettuando per quanto gli era possibile ricognizioni del terreno, poi con l'aiuto del generale sir Balfour Hutchison, trasformò l'Egitto in una base in grado di rispondere alle esigenze logistiche di un'armata di 300.000 uomini, infine insistette perché le unità combattenti a sua disposizione ridotte e male equipaggiate com'erano, fossero addestrate e rafforzate. Tre giorni prima dell'entrata in guerra dell'Italia il maggior generale Richard O'Connor, comandante delle forze britanniche in Palestina con sede del comando a Gerusalemme, fu chiamato a rapporto dal tenente generale Maitland Wilson, al Cairo, e si vide affidare il comando di una formazione detta Western Desert Force il cui comando era situato nel villaggio di Marsa Matruh capolinea ferroviario e piccolo porto situato circa 120 miglia ad est della frontiera egiziana. Il suo compito, come gli fu chiarito da Wilson consisteva nel proteggere l'Egitto dall'attacco italiano. Allo scoppio della guerra con l'Italia la Western Desert Force di O'Connor, composta dalla 7ª divisione corazzata (meno una brigata), da un raggruppamento di supporto formato da due reggimenti di artiglieria a cavallo, e da due battaglioni motorizzati, prese l'iniziativa. Nel giro di neanche quindici giorni di pattugliamenti offensivi i " topi del deserto " inflissero gravi perdite agli italiani, catturarono 25 ufficiali (fra cui un generale del genio) e 500 uomini di truppa; e la RAF distrusse più di 50 apparecchi, in combattimento aereo o al suolo. La formazione di O'Connor rimase all'offensiva durante tutto il mese di giugno e gran parte di quello di luglio costringendo gli italiani a mantenere almeno quattro divisioni in difensiva dietro la frontiera. Nel frattempo Wavell cominciò a considerare la possibilità di una operazione molto più ambiziosa, il deserto da El Alamein, fino ad El Agheila, nel golfo della Sirte sul confine tra Cirenaica e Tripolitania, aveva un'ampiezza di quasi 800 km in linea d'aria, tale zona disabitata si sviluppava lungo la costa rappresentava il limite settentrionale del teatro di operazioni. Le uniche vie di comunicazione, strada e ferrovia, correvano lungo la costa. Il deserto stesso era un pianoro che declinava rapidamente al mare: questo scoscendimento era designato col nome di " ciglione ". Dove la costa si arcuava, tra Derna e Bengasi, il ciglione diventava una catena di colline coltivate e boscose. A sud il deserto si estendeva per molte centinaia di chilometri: interrompevano questo paesaggio oasi largamente intervallate, Siwa in territorio egiziano, Gialo e Giarabub in Cirenaica. I confini orientali erano rappresentati dalla grande depressione di El Qattara che era intransitabile ai veicoli e alla fanteria quindi costituiva un naturale sistema difensivo. Tra la depressione e la costa, ad El Alamein, vi era un varco transitabile largo oltre 60 km.

Su questa scacchiera nell'estate e nell'autunno del 1940 si fronteggiavano forze notevolmente sproporzionate per numero. L'antagonista di Wavell, maresciallo Graziani aveva sotto il proprio comando lungo la frontiera libico egiziana e dietro a questa in profondità in Cirenaica e Tripolitania, quasi 250.000 uomini: nove divisioni di fanteria, ciascuna di circa 13.000 uomini, tre divisioni di camicie nere e due divisioni libiche, ciascuna di circa 8.000 uomini, aliquote di truppe suppletive d'armata e di corpo d'armata e varie altre unità libiche e di guardie alla frontiera. Questa vasta forza era divisa, alle dipendenze del comando superiore dell'Africa Settentrionale, in due armate: la 10ª, in Cirenaica, composta da un corpo d'armata ed uno di camicie nere, ciascuno di due divisioni e da un "gruppo" di due divisioni libiche; la 5ª armata, in Tripolitania, che raccoglieva il resto delle forze. Con la disfatta francese Graziani fu liberato dall'assillo di dover combattere su due fronti e poteva volendo concentrare ogni sforzo contro Wavell. Quest'ultimo non poteva mettere insieme che 86.000 uomini in tutto l'ampio territorio a lui affidato. Di questi, solo 36.000 si trovavano in Egitto a corto di equipaggiamento, la 7ª divisione corazzata, comandata dal maggior generale O'Moore Creagh, in due delle brigate avevano due reggimenti carri invece di tre, mente la 4ª, divisione indiana, comandata dal maggior generale Noel Beresford Peirse era composta di due sole brigate, e il reggimento da ricognizione e i reparti d'artiglieria erano largamente al di sotto della forza organica, infine la divisione neozelandese, comandata dal maggior generale Bernard Freyberg, costituita da una brigata di fanteria, un reggimento di cavalleria meno uno squadrone, un battaglione mitraglieri e un reggimento di artiglieria da campagna. Vi erano inoltre 14 battaglioni di fanteria britannici e due reggimenti di artiglieria. In Palestina Wavell disponeva di 27.000 uomini: la 1ª divisione di cavalleria, più due reggimenti di cavalleria (ancora montati), due brigate australiane con due reggimenti di artiglieria da campagna e alcune truppe divisionali, e infine una brigata di fanteria britannica e due altri battaglioni.

In agosto Wavell fu convocato a Londra da Churchill e dal capo dello stato maggiore dell'Impero generale sir John Dill. I loro colloqui ebbero luogo mentre si stava combattendo la prima cruciale fase della battaglia d'Inghilterra e l'invasione dell'isola sembrava ogni giorno imminente. Dopo diversi giorni di accanita discussione in seno al Gabinetto di guerra e al comitato dei capi di stato maggiore, il capo dello stato maggiore dell'Impero, il 15 agosto, decise che avrebbe provveduto ad inviare subito in Egitto un battaglione di 52 carri esploratori, un reggimento di 52 carri leggeri ed un battaglione di 50 carri per fanteria, unitamente a 48 pezzi controcarro 20 cannoni contraerei leggeri Bofors, 48 pezzi da campagna da 88 mm (25 libbre), 500 fucili mitragliatori Bren e 250 fucili controcarro, completato dalle relative munizioni. Quattro settimane più tardi Graziani compi un'avanzata massiccia quanto indecisa che poteva difficilmente essere concepita come una invasione un massa dell'Egitto. Le poche forze di O'Connor ripiegarono abilmente sempre combattendo, su una linea difensiva che era stata preparata a Marsa Matruh, e gli italiani, bombardati dalla RAF bersagliati dall'artiglieria e molestati dalle mine, impiegarono quattro giorni per coprire i cento chilometri che li separavano da Sidi el Barrani, che era costituita solo da un gruppo di capanne di fango con un campo di atterraggio, qui si arrestarono e cominciarono a trincerarsi. In seguito Graziani venne ripetutamente spronato da Mussolini a riprendere l'attacco ma divenne sempre più riluttante, e moltiplicava le sue proteste per la scarsezza dell'armamento dei carri e dei cannoni.

Sfruttando questa ritrosia a muoversi da parte degli italiani, Wavell decise che O'Connor doveva uscire ed attaccare. Il 21 settembre impartì al suo capo di stato maggiore, generale Arthur Smith, l'ordine di avanzare in modo da riprendere Sidi el Barrani, schierare truppe sufficienti lungo la frontiera occupare Bardia l'oasi di Giarabub e infine Tobruch. Se l'operazione avesse avuto successo sarebbe dovuta continuare e l'ultima avanzata sarebbe stata su Derna in Cirenaica. Il convoglio dei tanto necessari carri e cannoni era giunto sano e salvo in Egitto a metà settembre. Le responsabilità di Wavell si estesero all'improvviso in modo enorme. Vi era un piano per un attacco in forze contro gli italiani in Etiopia. La Royal Navy prese l'offensiva nel Mediterraneo e quando il 28 ottobre gli italiani muovendo dall'Albania lanciarono l'attacco alla Grecia, la RAF nel Medio Oriente ebbe l'ordine di mandare tre gruppi di Blenheim e uno di Gladiator per aiutare i greci a fronteggiare l'aviazione italiana. Fu anche chiesto a Wavell di inviare due batterie contraeree ad Atene ed una brigata di fanteria alla baia di Suda a Creta, per la difesa dell'isola. Frattanto i generali Wilson e O'Connor stavano elaborando i piani di operazione attesi da Wavell.

Operazione " Compass "

Wavell aveva in mente diversi obiettivi difficilmente conciliabili fra loro. Egli desiderava che la " Compass " apparisse solo come un raid su larga scala della durata di cinque giorni, una ricognizione in forze, in modo da aver spazio per la manovra strategica. Se questa riusciva, avrebbe potuto sfruttare a fondo il successo e scagliarsi sulla Cirenaica. Se la resistenza italiana si dimostrava tenace poteva conservare le posizioni che gli fosse riuscito di conquistare e prepararsi a proseguire poi, con forze maggiori. Nello stesso tempo intendeva avviare in sordina i preparativi per l'attacco alle truppe italiane che occupavano l'Eritrea e l'Etiopia. Disponeva di una divisione di fanteria, la 4ª indiana, che egli riteneva capace di sostenere una parte di rilievo in entrambe le operazioni. Dispose per tanto che questa divisione, dopo aver partecipato alla prima fase della " Compass " fosse trasferita subito, se vi fossero stati mezzi di trasporto navali disponibili nel Sudan, per congiungersi alla 5ª divisione indiana e partecipare alla campagna nell'Africa Orientale. Wavell non confidò nulla a nessuno, tranne che al suo capo di stato maggiore Arthur Smith e a Maitland Wilson.

Gli italiani, sulla carta, avevano forze ingenti, raccolte intorno e davanti a Sidi el Barrani. In sei campi trincerati (quattro a Nibeiwa, Tummar e in un luogo chiamata Quota 90, tutti a sud della strada costiera, uno a Maktila immediatamente a nord della strada e uno ad est di Sidi el Barrani stesso) erano schierate due divisioni libiche, la 4ª divisione camicie nere e (nel campo Nibeiwa) una formazione in tutto equivalente ad una divisione, nota come raggruppamento Maletti. Di riserva vi era una divisione in altri quattro campi trincerati intorno a Bir Sofafi e Bir el Rabia, a sud ovest di Sidi el Barrani e lungo il margine sud del ciglione. Un'altra divisione si trovava a sud della strada costiera, tra Buq Buq e Sidi el Barrani, ed altre due più a ovest, vicino a Sollum, Sidi Omar e Capuzzo, dall'altra parte del passo Halfaya.

O'Connor disponeva per l'attacco di forze per un totale di circa 30.000 uomini: la 4ª divisione indiana, la 7ª divisione corazzata ed una formazione nota come Selby Force, comprendente tre colonne mobili di fanteria, un reparto di carri armati ed alcuni cannoni da campagna e contraerei leggeri 1.750 uomini in tutto che avevano fatto parte della guarnigione di Marsa Matruh, al comando del generale di brigata A. R. Selby. Il comando della Western Desert Force era a Maaten Bagush, sulla costa, circa 40 km ad est di Marsa Matruh. Maitland Wilson vi si trasferì durante la prima settimana di dicembre e O'Connor, con il suo capo di stato maggiore, generale di brigata John Harding , il 6 dicembre si mise in movimento con le proprie truppe.

La marcia di avvicinamento nei primi due giorni quasi 100 km di terreno scoperto privo di vegetazione venne compiuta di giorno e da due divisioni con centinaia di veicoli senza che gli italiani ne avessero minimo sentore. Per due notti queste forze si accamparono nel deserto, circa 16 km ad ovest di Bir el Kenayis, sulla strada Marsa Matruh Oasi di Siwa. Poi, nel pomeriggio di domenica 8 dicembre fortunatamente protette da basse nubi che rendevano difficile la ricognizione aerea italiana mossero verso la zona di raccolta ubicata nel deserto immediatamente a sud di Maktila e circa 90 km ad ovest della strada Marsa Matruh Oasi di Siwa, alle 17 le truppe erano tutte riunite. Finora le due divisioni avevano proceduto insieme, durante la notte tra l'8 e il 9 dicembre si separarono e la 7ª divisione corazzata puntò ancora più ad ovest, per essere in grado di operare su una zona più ampia, dietro ai campi trincerati italiani, a sud della strada tra Sidi el Barrani e Buq Buq. L'attacco iniziale ai campi trincerati Nibeiwa e Tummar doveva essere lanciato dalla 4ª divisione indiana, proveniente da ovest. La Selby Force, che lasciò Marsa Matruh il 9 dicembre, puntando ad ovest lungo la strada, doveva bloccare Maktila e premere verso Sidi el Barrani stesso.

Mentre veniva compiuta quest'ultima tappa, la marina con il monitore Terror potentemente armato e le due cannoniere Aphis e Ladybird, con armamento minore prese a cannoneggiare Sidi el Barrani e Maktila. Fino a mezzanotte circa gli italiani Nibeiwa rimasero sul chi vive, vi furono scambi di fucileria piuttosto vivaci e furono lanciati razzi illuminanti. Un po' prima delle ore 5 un battaglione della 4ª divisione indiana temporaneamente distaccato, apri il fuoco sul campo trincerato da est e successivamente attirò su di sé l'attenzione del nemico. La cosa andò avanti quasi un'ora, dopo di che subentrò una quiete illusoria. Alle ore 7.15 i 72 cannoni dell'artiglieria divisionale diedero inizio a un breve, intenso bombardamento sempre da est. Entro dieci minuti i carri per fanteria del 7º reggimento Royal Tank spazzarono via l'angolo nord ovest del campo trincerato, mettendo fuori combattimento circa 25 carri italiani tra medi e leggeri parcheggiati fuori dalla cinta fortificata. Due squadroni di carri per fanteria Matilda entrarono subito in lizza impegnando artiglieria e fanteria italiana a breve distanza. Il generale Maletti, comandante di una divisione italiana, fu ucciso dal colpo di cannone di un carro armato mentre stava uscendo dal suo ricovero. Attraverso la breccia passarono quasi immediatamente due battaglioni di fanteria della 4ª divisione indiana il I del 6º reggimento fucilieri Rajputana e il II del reggimento Cameron Highlanders, che attaccarono di forza la lotta fu accanita ma nel giro di due ore il campo trincerato era in mano britannica. Nel frattempo la 5ª brigata di fanteria indiana (il 1º reggimento fucilieri reali, il III battaglione del 1º reggimento Punjab e il IV battaglione del 6º reggimento fucilieri Rajputana) e uno dei reggimenti di artiglieria della divisione muovevano su un ampio arco ad ovest Nibeiwa, per prepararsi ad attaccare il successivo obiettivo, Tummar Ovest. Ancora più ad ovest, su di un arco ancora più ampio, la 7ª divisione corazzata stava avanzando fin dalle prime luci, la 4ª brigata corazzata in testa, puntando senza trovare resistenza sulla strada costiera a circa 56 km dalla linea di partenza. Prima delle ore 11 i carri avevano ultimato il loro compito Nibeiwa e potevano lasciare il compito finale ai fucilieri del Rajputana e del Cameron. Dovevano occuparsi di oltre 2.000 prigionieri e d'un ricco bottino di viveri, carri armati, cannoni ed acqua, le perdite britanniche erano state di neanche 100 uomini.

Su Tummar Ovest a circa 12 km da Nibeiwa, non era stata compiuta alcuna ricognizione e per tanto fu necessario perdere del tempo a questo scopo cosi che l'attacco poté essere lanciato solo il pomeriggio. Nel frattempo la 4ª brigata corazzata attraversava la strada costiera circa 20 km ad est di Buq Buq e catturava 100 autocarri e diverse centinaia di prigionieri, mentre la Selby Force dopo aver avanzato con difficoltà verso Maktila, si buttava a sud per impedire alla guarnigione italiana di ripiegare, ma grazie ad una violenta tempesta di sabbia gli italiani ne approfittarono per uscire da Maktila, ed appostarsi circa 10 km più ad ovest, presumibilmente per tentare di difendere Sidi el Barrani. A Tummar Ovest le cose andarono pressappoco come Nibeiwa benché vi fossero meno carri e mancasse ormai del tutto l'elemento sorpresa, ciò nonostante verso il crepuscolo Tummar era in mano britannica ed anche qui vennero catturati molti uomini e molto materiale benché a prezzo di perdite un poco superiori. La tempesta di sabbia che aveva ostacolato la Selby Force segnava l'inizio di un lungo periodo di cattivo tempo con un certo fresco di giorno e un freddo deciso di notte, un forte vento sollevava la sabbia e si alternava a piogge torrenziali. Il mattino del 10 dicembre due delle brigate di Beresford Peirse la 5ª indiana (che aveva preso Tummar Ovest il giorno precedente) e la 16ª britannica (che sinora era rimasta di riserva) si aprirono la strada verso Sidi el Barrani facendo fronte a una sempre più accanita resistenza italiana. Vi furono duri combattimenti fino a sera. Il 7º Royal Tank inviò 10 dei suoi carri armati ad operare sul fianco sinistro della 16ª brigata e più ad ovest entrò in azione anche la 4ª brigata corazzata. La tempesta di sabbia riduceva fortemente la visibilità, e i collegamenti e la cooperazione tra fanteria e carri diventavano sempre più difficoltosi. Il battaglione di testa della 16ª brigata raggiunse la strada ad Alam el Dab ed ebbe un violento scontro con un'intera divisione di camicie nere con perdite considerevoli. Ciononostante alle ore 13 la brigata aveva raggiunto il proprio obiettivo: le vie di ritirata degli italiani verso sud e verso ovest erano chiuse.

Beresford Peirse mantenne la pressione, la 16ª brigata più il reggimento Cameron della 11ª brigata indiana tutti i carri per fanteria ancora efficienti e qualche reparto della 4ª brigata corazzata con il concorso di tutta l'artiglieria divisionale attaccarono Sidi el Barrani da ovest alle 16. In mezz'ora raggiunsero le casupole e gli accampamenti della periferia e prima del crepuscolo insieme alla Selby Force avevano circondato i resti di due divisioni libiche e di una di camicie nere. Durante l'intero giorno la 7ª divisione corazzata pronta a intervenire se la situazione a Sidi el Barrani non si fosse chiarita, incrociò nel deserto a sud della strada e ad ovest della pista Sidi el Barrani Bir Enba. A sera O'Connor le ordinò di avanzare al più presto su Buq Buq. Alcune pattuglie avanzate della 4ª brigata corazzata si erano già spinte 25 chilometri ad ovest di Buq Buq.

Durante la notte tra il 10 e l'11 dicembre Wavell prese quella che fu per lui la decisione più difficile dell'intera campagna. I mezzi di trasporto navali erano pronti a Suez, la 4ª divisione indiana (meno la 16ª brigata britannica) poteva ormai essere trasferita nel Sudan. Egli emanò l'ordine. O'Connor si svegliò la mattina dell'11 dicembre al suo comando operativo per , apprendere questa inattesa notizia. Era vero che la divisione indiana doveva essere sostituita dalla 6ª australiana, ma soltanto una delle brigate di quest'ultima si trovava in zona ed aveva sensibili deficienze di mezzi di trasporto di cannoni e di equipaggiamento. O'Connor andò a trovare Beresford Peirse che ora aveva il suo comando meno di 5 km a sud di Sidi el Barrani. Fu per lui una bella consolazione l'apprendere pochi minuti dopo l'arrivo che la battaglia in quella zona si era conclusa favorevolmente. Tutti i reparti italiani o si erano arresi o erano sul punto di arrendersi. Il collasso collettivo aveva coinvolto la guarnigione di Maktila che meno di tre giorni prima aveva presentato problemi tanto spinosi. La 7ª divisione corazzata si trovava proprio a cavallo della strada da Sidi el Barrani a Buq Buq e spingendosi rapidamente ancor più ad ovest verso Halfaya ebbe un'altra giornata di successi. L'8º reggimento Ussari si spinse nel deserto ad ovest di Bir Sofafi per impedire il ripiegamento di consistenti reparti italiani (il grosso di due divisioni) che si trovavano nel gruppo di campi trincerati di Bir Sofafi e Bir el Rabia. Durante la notte gli italiani riuscirono a ripiegare verso occidente e poco dopo le 12 del giorno successivo vennero scoperti da pattuglie di fanteria britanniche (della 2ª brigata fucilieri) in cima al ciglione circa 16 km a sud del passo Halfaya mentre stavano muovendo rapidamente verso ovest. A parte queste truppe sfuggite alla rete, O'Connor aveva chiuso la prima parte della campagna con notevole rapidità ed economia di sforzi. L'aveva portata a termine con un successo che oltrepassava le sue stesse aspettative e il bilancio della vittoria era impressionante. La 4ª divisione camicie nere, e la 1ª e la 2ª divisione libica e il raggruppamento Maletti (l'equivalente di una divisione) erano stati distrutti e la 2ª divisione camicie nere e la divisione " Cirene " erano state duramente provate. In tre giorni di combattimento la Western Desert Force aveva preso non meno di 38.000 prigionieri, tra italiani e libici 237 cannoni e 73 carri medi e leggeri. E fra i prigionieri c'erano persino quattro generali, le perdite totali di O'Connor furono di 624 tra morti feriti e dispersi.

La sera del 12 dicembre i soli italiani rimasti in Egitto (oltre ai prigionieri) erano quelli che bloccavano gli immediati accessi di Sollum ed una formazione di una certa forza nelle vicinanze di Sidi Omar. La 4ª divisione indiana ripartì subito. Le operazioni di inseguimento e rastrellamento dovettero essere compiute dalla 7ª divisione corazzata perché la sola fanteria a disposizione di O'Connor, la 16ª brigata britannica, aveva doveva sorvegliare e a scortare l'imponente massa dei prigionieri italiani. Lo sgomento nei paesi dell'Asse fu notevole, Graziani (con l'approvazione di Mussolini) diede ordine che Bardia e Tobruch venissero tenute ad ogni costo. Nel campo tattico Wavell, Wilson e O'Connor erano decisi a conservare una iniziativa vigorosa. Sollum (cannoneggiata intensamente dalla marina nella notte dell'11 dicembre) Capuzzo e Sidi Omai erano altrettante sacche di resistenza italiane. O'Connor decise, con la piena approvazione di Wavell, di porsi come prossimo obiettivo Bardia. La 4ª brigata corazzata seguitava a premere senza posa su queste sacche di resistenza, isolandole ed eliminandole e intanto si spingeva verso ovest. La 7ª brigata corazzata poi aveva il compito di prendere Capuzzo e Sollum. La 4ª, individuata dalla ricognizione italiana il 14 dicembre, fu pesantemente bombardata e subì gravi per dite in quella che fu la più tremenda giornata di attacchi aerei italiani dell'intera campagna. Ciononostante a mezzogiorno del 15 dicembre, dopo essersi impossessata saldamente di Sidi Azzeiz, la brigata si trovava a cavallo della strada Bardia Tobruch: la ridotta Capuzzo pareva tagliata fuori. Il 17 dicembre Sidi Omar venne attaccata con successo: i suoi cannoni vennero catturati con circa altri mille prigionieri italiani. Bergonzoli, comandante della piazza di Bardia, e Graziani erano ora sempre pi preoccupati, Bergonzoli prospettava al suo comandante in capo che senza rinforzi non avrebbe potuto tenere la piazza.

Graziani spingeva lo sguardo ancora più indietro, verso Tobruch. Se Bergonzoli tentava di resistere a Bardia e falliva lo scopo che speranze restavano di conservare Tobruch?. Il maresciallo era tanto depresso che telegrafò a Mussolini chiedendo se non sarebbe stato più saggio concentrare tutte le forze disponibili per la difesa di Tobruch, e guadagnare cosi tempo in attesa dell'arrivo del le truppe e degli aerei che, egli sperava sarebbero stati inviati dall'Italia. Il Duce rispose che si doveva fare tutto il possibile per ritardare l'avanzata britannica e logorare il nemico, e che una prolungata difesa di Bardia avrebbe rappresentato un utile contributo a questo fine. La 7ª divisione corazzata era una formazione mobile ma non aveva né l'attrezzatura né gli uomini necessari a bloccare una forza come quella che Bergonzoli era i grado di portar fuori da Capuzzo e Sollum. Il 20 dicembre entrambe le piazze si trovavano in mano britannica ma gli italiani avevano portato via da esse abbastanza fanteria ed artiglieria da poter riunire entro la cinta di Bardia l'equivalente di quattro divisioni: 45.000 uomini, comprese le truppe delle fortificazioni e della guardia di frontiera, più di 400 cannoni; un pò più de doppio della cifra indicata a O'Connor dal suo servizio informazioni, che aveva calcolato in circa 20.000 uomini e 100 cannoni le forze a disposizione del comandante italiano.

Il 21 dicembre il maggior generale I. G. Paul Popper Mackay, comandante della 6ª divisione australiana, giunse nella zona di Sollum. Il suo compito a Bardia era simile a quello di Beresford Peirse a Nibeiwa e Tummar, ma su scala maggiore e senza il vantaggio della sorpresa strategica. In pieno accordo con O'Connor egli decise come aveva già fatto Beresford Peirse prima di lui di avanzare da ovest. Il perimetro di Bardia con uno sviluppo di circa 28 km, difeso da un fosso anticarro continuo, numerosi reticolati battuti dal fuoco e da casematte intervallate in modo da sorvegliarne l'intero tracciato, rappresentava una posizione ben più formidabile di quelle Nibeiwa Tummar Sollum Capuzzo. Come a Sidi el Barrani la soluzione consisteva nel far penetrare i carri ( il 7º reggimento Royal Tank) entro la cinta. Questa volta O'Connor e Mackay decisero di spingere avanti per primo un battaglione di fanteria allo scopo di costituire una testa di ponte dall'altra parte del fosso anticarro e del reticolato, di gettare quindi dei ponti sul fossato, eliminare i reticolati e i campi minati per consentire il passaggio dei carri A questo punto i carri armati avrebbero fatto irruzione entro la cinta procedendo a ventaglio, seguiti da vicino da altri due battaglioni di fanteria. O'Connor e Mackay convennero di lanciare l'attacco là dove gli italiani se lo sarebbero meno aspettato: nel mezzo del lato occidentale della cinta. La 7ª divisione corazzata doveva attestarsi a nord ovest per bloccare la via della ritirata alla guarnigione, ed il gruppo di appoggio doveva tenersi pronto a irrompere attraverso le difese in questa zona, appena se ne fosse presentata l'opportunità.

Il 28 dicembre Mackay scelse come ora zero le ore 5 del 2 gennaio ma due giorni dopo era costretto a rinviarla di ventiquattro ore perché le munizioni che gli erano indispensabili giunsero in ritardo. Nonostante questo rinvio il piano fu attuato senza intoppi. In meno di un'ora la fanteria aveva gettato i ponti sul fossato anticarro. Vennero approntati rapidamente dei posti di attraversamento e rimosse circa cento mine cosi che per le 7 del 3 gennaio i carri si trovavano nella testa di ponte entro il perimetro. A mezzogiorno gli italiani si arrendevano a gruppi. Dal mare vennero in appoggio i grossi calibri delle navi da battaglia Warspite, Valiant e Barham. Seguirono due giorni di rastrellamento e il 5 gennaio la piazza si arrendeva. Il bottino della nuova sacca fu impressionante: circa 38.000 uomini, 33 cannoni costieri e di medio calibro, 220 cannoni da campagna, 26 pezzi pesanti contraerei, 40 pezzi per fanteria (da 65 mm), 146 pezzi controcarro, 120 carri e più di 700 automezzi. Le perdite totali del Commonwealth, in gran parte australiani, furono di 500 uomini di cui meno di 150 morti. Ancora una volta vi furono baruffe e recriminazioni all'interno dell'Asse, diversi generali italianiche non erano stati fatti prigionieri vennero silurati. La Western Desert Force venne ribattezzata XIII corpo d'armata il giorno di capo d'anno e intraprese subito i preparativi, prima ancora della caduta di Bardia, per la nuova fase dell'operazione. Il mattino del 5 gennaio la 7ª brigata corazzata era in movimento verso El Adem, il principale campo di aviazione italiano della Libia e il giorno dopo stava già procedendo a tagliare fuori Tobruch da ovest. La sera del 6 gennaio la 19ª brigata australiana della divisione Mackay usciva da Bardia e il mattino successivo scambiava le prime fucilate con il settore orientale della difesa di Tobruch. La 16ª brigata britannica procedeva alla sua sinistra mentre la 4ª brigata corazzata, il gruppo d'appoggio e la 7ª brigata corazzata creavano un arco di investimento della piazza da sud e da ovest. Ancora una volta da parte italiana vennero diramati ordini enfatici di resistenza ad oltranza.

Le perdite italiane erano enormi, in meno di un mese otto divisioni erano andate completamente distrutte e, di tutti i gruppi presenti all'inizio della campagna, restavano ora a disposizione di Graziani soltanto 119 apparecchi, la metà dei quali erano cacciabombardieri di base a Maraua, 130 chilometri ad ovest di Derna nella Cirenaica centrale. La caduta di Bardia aveva grandemente ridotto il numero delle truppe disponibili per la difesa di Tobruch. Rimanevano a Graziani circa 25.000 uomini (la divisione " Sirte " e circa 9.000 tra dispersi e scampati di unità distrutte), 220 cannoni e dai 60 ai 70 carri medi e leggeri. Più ad ovest egli aveva la divisione " Sabratha " a Derna, la 17ª a Bengasi ed un gruppo corazzato a El Mechili. O'Connor, comunque, cominciava a risentire dello sforzo, anche se era uno sforzo offensivo anziché difensivo. Le difficoltà dei rifornimenti si facevano sempre maggiori: il carburante e le munizioni ebbero la precedenza assoluta sui viveri, e le unità avanzate ricevettero per diversi giorni razioni dimezzate. Il numero dei carri per fanteria dimostratisi tanto preziosi a Sidi el Barrani e a Bardia era sceso a 18. Il giorno della caduta di Bardia, a 5.000 km di distanza, a Londra, Churchill prendeva una decisione che doveva avere profonde ripercussioni sul resto della campagna del deserto occidentale: bisogna rendere sicuro il fianco occidentale dell'Egitto, egli disse ai capi di stato maggiore, e con ciò, intendeva dire che non pensava di andare oltre Bengasi. Dopo si doveva dare la priorità all'appoggio alla Grecia contro l'aggressione italiana e alla eventualità sempre più probabile di un attacco tedesco. Cosi mentre O'Connor, O'Moore Creagh e Mackay potevano dedicarsi per almeno un mese ancora ad annientare gli italiani nell'Africa Settentrionale Wavell doveva risolvere un dilemma sempre più pressante. Egli sapeva, che la demolizione della metà dell'impero coloniale italiano rappresentata dall'Africa Orientale, avrebbe impegnato forze considerevoli; sapeva anche, che grosse minacce stavano addensandosi sul fianco settentrionale, in Palestina e nell'Iraq. La Turchia non sarebbe uscita dalla neutralità conservata sinora gelosamente ma in Siria e nel Libano il regime francese di Vichy era pressato verso una sempre più aperta collaborazione con l'Asse e i tedeschi, ancor più degli italiani si davano da fare per fomentare il nazionalismo arabo e iniziando a creare una nuova sfera d'influenza tedesca dai Balcani a Bagdad e oltre.

La spedizione in Grecia comunque rappresentava la principale preoccupazione di Wavell e il suo effetto sull'avanzata di O'Connor si rese immediatamente evidente. Mentre si stavano compiendo i preparativi per l'assalto di Tobruch, Wavell si recò in volo ad Atene per conferire con il gabinetto greco e i comandanti dell'esercito, mentre il generale di squadra aerea sir Arthur Longmore, comandante in capo della RAF nel Medio Oriente, riceveva dal capo di stato maggiore dell'aeronautica l'ordine perentorio di ridurre l'appoggio aereo al XIII corpo d'armata portandolo molto al di sotto del minimo indispensabile, per inviare immediatamente in Grecia tre gruppi di Hurricane e uno di Blenheim. Le proteste congiunte di Wavell e di Longmore riuscirono a far moderare il tono assoluto di questa prescrizione, ma appariva sempre più chiaro al comando del Cairo che si doveva porre un limite all'avanzata di O'Connor.

Il piano per l'attacco su Tobruch era molto simile a quello per l'attacco di Bardia ma su scala maggiore. In questa occasione O'Connor disponeva della 7ª divisione corazzata tre brigate della 6ª divisione australiana di Mackay, due battaglioni mitraglieri, il 7º reggimento carri ed una notevole massa di artiglieria. Per 12 giorni, dopo la caduta di Bardia vi fu un costante movimento intorno alla cinta di Tobruch: arrivo di munizioni approntamento di postazioni di artiglieria e pattugliamenti offensivi che molestavano e disorientavano di continuo gli italiani. O'Connor lanciò l'attacco alle ore 8 del 21 gennaio, la 16ª brigata australiana e i carri per fanteria irruppero nella cinta, al vertice di sud est, sotto la protezione di un potente sbarramento di artiglieria, seguiti dappresso dalla 19ª brigata. Entrambe le brigate raggiunsero i loro primi obiettivi, con poche perdite, verso mezzogiorno, ma poi gli italiani misero in azione i loro cannoni costieri e contraerei e vi furono alcune ore di accaniti combattimenti, intorno e verso il centro della cintura. Al crepuscolo comunque le forze del Commonwealth erano schierate lungo il margine del ciglione che domina la città: circa metà della zona difesa era stata conquistata. Durante tutta la notte le truppe attaccanti scorsero nella città bagliori di incendi ed udirono il rombo delle esplosioni. Quando spuntò l'alba avanzarono senza trovare resistenza. Nella città vi erano più truppe di quanto si fosse creduto: circa 30.000 uomini, inclusi numerosi specialisti ed un distaccamento navale di più di 2.000 uomini. Vi erano, anche qui, tanti automezzi che nessuno si prese la briga di contarli, 87 carri e più di 200 cannoni. Vi era un grande deposito di carburanti e 10.000 tonnellate di acqua in cisterna, cibi in scatola, frutta, vegetali e carne. Si era tentato di mettere fuori uso il porto ma la Royal Navy lo aveva già riattivato 48 ore dopo la resa italiana. Le perdite del XIII corpo d'armata furono di poco superiori ai 400 uomini di cui 355 australiani. Il giorno in cui fu lanciato l'assalto contro Tobruch i capi di stato maggiore comunicarono a Wavell che ora veniva considerata di grande importanza la presa di Bengasi. O'Connor stava già facendo i piani per questo altro balzo in avanti. Aveva disposto che la 7ª rigata corazzata continuasse ad avanzare verso Derna e che la 4ª brigata australiana cominciasse a marciare su El Mechili, distante 160 chilometri. La sera del 22 gennaio la prima era a contatto con gli italiani , a 30 chilometri da Derna, mentre pattuglie della seconda erano già sulle piste che portavano da El Mechili a ovest, sud e sud est.

La sera del 22 gennaio tutto ciò che restava dell'esercito che Graziani aveva a sua disposizione al principio di dicembre erano la divisione " Sabratha " (meno una brigata di fanteria) in posizione immediatamente ad est di Derna, una brigata corazzata di circa 160 carri, e la brigata di fanteria della 60ª divisione che si trovava a El Mechili o li vicino, agli ordini del generale Babini. Più ad ovest, non si sapeva con certezza se in Cirenaica o in Tripolitania, c'erano due altre divisioni . Il nucleo settentrionale delle forze in Cirenaica teneva la strada costiera che andava a Bengasi mentre il nucleo meridionale era attestato sul principale nodo di congiunzione tra le vie di comunicazione provenienti dal deserto, dal Gebel e dalla costa. Wavell vedeva chiaramente come O'Connor la possibilità di una rapida avanzata su Bengasi e di una vittoria decisiva. O'Connor realizzò entrambi gli obiettivi in neanche tre settimane. Il ritmo di questa fase finale della campagna fu frenetico. Il 24 gennaio ebbe luogo a El Mechili una delle prime battaglie fra carri armati della campagna: la 7ª divisione corazzata distrusse otto carri medi italiani e ne catturò uno perdendo a sua volta un carro pesante e sei leggeri. O'Connor decise di schiacciare ciò che restava delle forze italiane in questa zona fermando nel contempo la divisione " Sabratha " a Derna. A questo scopo lasciò due brigate della 6ª divisione australiana vicino a Derna, e mandò la terza brigata a sud a congiungersi alla 7ª divisione corazzata e al gruppo d'appoggio. Il 25 gennaio diede ordini espliciti per ché fosse inibito al generale Babini e alle sue truppe di ripiegare da El Mechili. Gran parte di queste forze, tuttavia, vennero bloccate dalla mancanza di carburante fino al mattino del 27 gennaio e durante la notte, Babini era sgusciato via, verso nord. Quando la ricognizione aerea scopri gli italiani su una strada che non figurava in alcuna carta inglese che si allontanavano più svelti che potevano la 4ª brigata corazzata si lanciò al loro inseguimento per due giorni, e i cacciabombardieri li attaccarono col fuoco delle mitragliere e con bombe leggere. Ma il pomeriggio del 28 gennaio le cose andavano molto male: pioggia a dirotto, numerosi guasti meccanici e deficienza di carburante costrinsero a interrompere la caccia.

Il 29 gennaio gli italiani si ritirarono da Derna. Sembrava al momento, che intendessero fare una sosta sulle alture del Gebel el Achdar. Gli australiani occuparono Derna il 30 gennaio. O'Connor pensò per un momento di poter concedere un pò di respiro a una parte dei suoi ufficiali e dei suoi uomini e di poter rimettere in sesto i carri e il materiale logoro. Per avvolgere il nemico sul Gebel, era necessario fai compiere alla 7ª divisione corazzata un movimento più ampio della semplice marcia di avvicinamento lungo la pista che da El Mechili conduceva ad ovest. Durante i due giorni seguenti la resistenza italiana sul fronte tenuto dagli australiani, nel settore nord, cominciò a diminuire notevolmente e giunse notizia che la Regia aeronautica stava abbandonando i pochi campi da essa ancora occupati. Nelle prime ore del mattino queste voci di ripiegamento trovarono conferma quando furono scorte lunghe colonne in movimento ad ovest di Barce e carri armati che, sempre a Barce, venivano caricati sui treni. La sera del 31 gennaio O'Connor O'Moore Creagh e John Harding ebbero un colloquio con un ufficiale in missione di collegamento che Wavell aveva inviato per riferirgli sull'intera situazione. Si trattava del generale di Brigata Eric Dorman Smith, durante la riunione O'Connor sostenne che gli italiani si stavano preparando ad abbandonare non soltanto il settore costiero ma l'intera Cirenaica. Era essenziale nell'inseguimento la massima celerità. Lui non poteva per mettersi di attendere dei rinforzi che non lo avrebbero raggiunto ad andar bene prima del 10 febbraio. La 7ª divisione corazzata doveva andare avanti fino a che i suoi mezzi glielo consentissero, ma ci voleva carburante e l'intendenza di O'Connor, dopo lunghe consultazioni e numerosi incoraggiamenti, dichiarò di poter rifornire la divisione sulla strada di Bengasi con sufficiente carburante per affrontare la battaglia.

L'indomani di primo mattino su urgente richiesta di O'Connor, Dorman Smith parti in volo per il Cairo dal comandante in capo per ottenere l'autorizzazione ad una rapida avanzata al fine di intercettare la ritirata italiana. Nel frattempo la 7ª divisione corazzata senza attendere alcun rinforzo, era andata avanti in base all'ordine di O'Connor di proseguire fino a che avesse avuto possibilità di muoversi. Per ciò che riguardava i rifornimenti i primi convogli caricati a Tobruch stavano cominciando ad arrivare a El Mechili e per il 4 febbraio la divisione avrebbe potuto procedere con i propri veicoli completi di rifornimenti e farsi seguire da un convoglio con acqua carburante viveri e munizioni occorrenti per due giornate. Tutto questo complesso aveva già ricevuto il preavviso di tenersi pronto a muovere su Msus. Il 4 febbraio Wavell stesso si spostò in volo in Cirenaica. Di ritorno al Cairo prima di notte egli comunicò al capo dello stato maggiore imperiale che quanto restava della 7ª divisione corazzata una brigata con 40 50 carri pesanti e circa 80 carri leggeri e il gruppo di appoggio, i cui automezzi erano logori e i cui uomini esausti stava puntando su Msus che avrebbe potuto raggiungere in serata. Contemporaneamente gli australiani stavano avanzando lungo la strada principale per Barce e Bengasi e la RAF batteva gli italiani in ritirata. I carri armati britannici occuparono Msus quello stesso giorno ma la provata 7ª divisione corazzata faceva fatica ad avanzare in quella regione cosi accidentata e soltanto all'alba del 5 febbraio poteva segnalare di trovarsi in posizione ad est di Msus.

L'inseguimento continuò per tutta la giornata. Al crepuscolo le forze di O'Connor erano penetrate profondamente nella Cirenaica meridionale e si erano spinte molto avanti ad ovest. La 4ª brigata corazzata infatti si stava avvicinando a Beda Fomm dove gli italiani si stavano frettolosamente ammassando per quella che poteva essere l'ultima loro posizione di resistenza. Una colonna di 5.000 uomini, comprendente soprattutto artiglieri con i loro pezzi ma anche parecchi civili, si arrese a sud ovest di Beda Fomm. O'Connor trasferì il suo comando avanzato a Msus e all'alba del 6 febbraio risultò evidente che gli italiani si apprestavano a fare un ultimo tentativo per aprirsi una via nel cerchio che si era rapidamente formato intorno a loro. Combatterono con accanimento e valore tutto il giorno ma quando sopraggiunse la sera la loro situazione era disperata. Lungo trenta chilometri dell'unica possibile via di scampo, da Soluch ad Agedabia la 7ª divisione corazzata riuscì ad immobilizzare una caotica massa di veicoli e uomini. Nei ripetuti tentativi di aprirsi una breccia gli italiani persero più di 80 carri. Intanto O'Connor ordinava alla 6ª divisione australiana di inviare un distaccamento celere della forza di circa una brigata lungo la strada principale da Barce a Bengasi e su Ghemines per completare l'accerchiamento degli italiani. Gli australiani si spinsero in avanti con la maggior velocità possibile e in quello stesso giorno ottennero la resa di Bengasi. L'alba spuntò fredda e limpida. Un reparto di circa 30 carri italiani fece un ultimo, vano attacco contro la barriera dei mezzi corazzati britannici: fallito il tentativo ci fu immediatamente la resa, senza condizioni. O'Connor si trovava al comando della 7ª divisione corazzata quando la notizia lo raggiunse. Lui e Dorman Smith si conoscevano e si stimavano reciprocamente da molti anni. O'Connor lasciò a lui l'incarico di inviare il messaggio a Wavell. Cominciava cosi: " Volpe uccisa in aperta campagna... ".

Nel corso di due mesi esatti le truppe inglesi (indiane e australiane) non più di due divisioni con una forza complessiva di 31.000 uomini avevano effettuato un'avanzata per 800 chilometri distrutto un'armata italiana di dieci divisioni, catturato circa 130.000 prigionieri più 850 cannoni, 400 carri e migliaia di autocarri e automezzi vari. Le perdite furono nel complesso inferiori ai 2.000 uomini: 500 morti 1.373 feriti 55 dispersi. O'Connor era ansioso di sfruttare il proprio successo e tirare avanti fino a Tripoli, logicamente non aveva alcuna probabilità di riuscire dal punto di vista logistico e organizzativo. I suoi automezzi non potevano più andare avanti, la Royal Navy e la RAF non potevano fai di più. Riattivare Bengasi avrebbe portato via troppo tempo. Ma riteneva di potercela fare. La sera dell'8 febbraio l'11º, reggimento Ussari, spingendo delle pattuglie per 60 70 chilometri lungo la costa della Sirte non incontrò resistenza. O'Connor inviò Dorman Smith per ottenere l'autorizzazione ad avanzare ancora. Il cattivo tempo fece arrivare l'emissario in ritardo e soltanto il mattino del 12 febbraio egli riuscì a presentarsi all'ufficio di Wavell. O'Connor ebbe l'ordine di rientrare al Cairo per assumere la carica di comandante in capo delle truppe britanniche in Egitto e su insistenza del Gabinetto di guerra e dei capi di stato maggiore un sottile velo di truppe di copertura venne lasciato a difendere l'immenso territorio conquistato. Tutti gli occhi erano puntati sulla Grecia. Il 5 febbraio, il primo giorno della battaglia di Beda Fomm, Hitler aveva scritto a Mussolini per esprimergli la sua disapprovazione per la condotta della campagna in Africa Settentrionale nel suo complesso, offrendo l'aiuto di una divisione corazzata completa, a condizione che gli italiani tenessero duro e non ripiegassero su Tripoli. Cinque giorni dopo Mussolini accettava l'offerta. L'11 febbraio il generale Erwin Rommel arrivava a Roma per ricevere l'assicurazione che la prima linea di difesa in Tripolitania sarebbe stata sulla Sirte. Tre giorni dopo un battaglione tedesco da ricognizione ed un battaglione controcarro raggiungevano Tripoli.