La Campagna Italiana in Grecia

Premesse.

Dopo l'attacco tedesco della Polonia, la dichiarazione di non belligeranza dell'Italia provocò in Grecia un grosso respiro di sollievo. In Polonia la parola era ai Panzer ma poiché l'altro polo dell'Asse Roma Berlino pur alquanto stranamente rimaneva fermo la guerra restava lontana dal bacino del Mediterraneo. Questo dato di fatto non poteva che essere un motivo di tranquillità, specie in un momento in cui i rapporti italo greci erano alquanto tesi. I rapporti tra Italia e Grecia quasi mai erano stati cordiali e guardando un pò indietro si vedrà che i motivi di contrasto erano sorti fin dalla prima guerra mondiale. Infatti, durante le trattative per il patto di Londra le potenze nell'Intesa avevano promesso contemporaneamente a Grecia e Italia la concessione di sfere d'influenza nelle stesse aree in Asia Minore. Durante il travaglio per la stipulazione dei trattati di pace, Venizelos era riuscito ad ottenere larghissime concessioni tutte a danno dell'Italia, mentre contrasti persistevano per la delimitazione dei confini fra Albania e Grecia: l'Italia, sicura che l'Albania sarebbe caduta sotto il suo dominio diretto o indiretto cercava di favorirla nelle sue pretese mentre la Grecia non celava la sua insoddisfazione per quanto già ottenuto durante le guerre balcaniche e considerava ellenica tutta l'Albania meridionale, almeno fino alla zona di Argirocastro Basterà, è da ricordare che, proprio mentre si procedeva alla delimitazione del confine, venne ucciso il generale Tellini da cui scaturì l'intervento italiano a Corfù il cui ricordo era ancora bruciante in Grecia.

Inoltre all'Italia erano attribuite mire annessionistiche su tutto l'Eptaneso l'arcipelago delle isole Ionie e in verità il timore era sproporzionato all'entità degli appetiti italiani sentiti soltanto da una ristretta cerchia di persone. Infatti, si può affermare che l'opinione pubblica italiana si disinteressava dell'Eptaneso e in realtà di tutta la Grecia. Ma in Grecia di ciò non ci si rendeva conto e di tanto in tanto i timori di colpi di mano nello Ionio si ridestavano specie quando a destarli erano fonti degne di rispetto. Se si deve dar credito ad alcuni documenti dell'epoca, voci del genere trovavano talvolta la loro fonte negli ambienti del Vaticano.

Motivo di discordia era anche l'occupazione del Dodecaneso, conquistato alla Turchia, ma di popolazione prevalentemente greca. Ma si capiva che dopo il riconoscimento della legittimità del possesso italiano da parte delle grandi potenze, poco c'era da sperare in quel settore.

Un ulteriore colpo alle relazioni diplomatiche fu l'occupazione dell'Albania; l'Italia quindi diveniva una sgradita vicina proprio su confini contesi. Se vennero con apparente gratitudine accettate le assicurazioni sulla assoluta mancanza di propositi aggressivi verso la Grecia, vennero ugualmente accettate, le "garanzie" di Francia e Gran Bretagna, palesemente dirette contro l'Italia. L'offensiva italiana

Il C.S.T.A. (Comando Superiore Truppe Albania) aveva ricevuto l'ordine di iniziare le ostilità dopo le ore zero del 28 ottobre e uguale ordine trasmise ai comandi dipendenti, precisando che l'azione avrebbe dovuto entrare nella fase di pieno sviluppo alle ore 7.30. Il maltempo e considerazioni personali, indussero i comandanti dei due corpi d'armata a muovere all'alba e le prime pattuglie passarono il confine verso le ore 6.30, ma fu un solo caso se qualcuno non mosse subito dopo la mezzanotte e cioè prima ancora che il ministro d'Italia potesse presentare a Metaxas l'ultimatum. Questo particolare è esplicativo alla leggerezza che presiedette a tutta la preparazione del conflitto italo greco.

Il generale Visconti Prasca, la sera del 27, fissò il suo posto di comando a Dervisciani; il comando del XXVI corpo (gen. Nasci, divisioni " Parma " e " Piemonte " che però sarebbe dovuto rimanere a disposizione del C.S.T.A.) si stabilì a Coriza e quello della Ciamuria, denominato poi XXV (gen. Carlo Rossi divisioni " Ferrara ", " Siena " e " Centauro " a Delvine). A sinistra del XXV corpo era schierata la divisione alpina " Julia " e a destra il Raggruppamento del litorale (due reggimenti di cavalleria e uno di granatieri). Alle divisioni " Arezzo " e " Venezia " erano state assegnate funzioni di copertura della frontiera iugoslava, ma la " Venezia ", il 28, stava trasferendosi nel Corciano. Il corpo d'armata di Bari avrebbe dovuto fare occupare Corfù dalla divisione " Bari " e dal battaglione " San Marco "; l'operazione venne sospesa il 10 novembre. Per completare il quadro venne accennato, dal governatore del Dodecaneso, un suggerimento di impossessarsi di Creta, il progetto non fu preso in considerazione, ma è da ricordare che, il 20 novembre, Hitler scrisse a Mussolini di non intraprendere azioni contro la Grecia senza prima aver occupato Creta.

Sul fronte greco albanese, al mattino del 28 ottobre, agivano 4 divisioni di fanteria (24 battaglioni), 1 alpina (5 battaglioni) 1 corazzata (3 battaglioni bersaglieri, 3 battaglioni carri con 133 carri " L " e 37 carri lanciafiamme) e il Raggruppamento del litorale (2 reggimenti di cavalleria e 1 di granatieri). Un altro reggimento di cavalleria era assegnato al corpo d'armata Ciamuria. Al settore del Corciano era affidato un compito definito difensivo attivo, con la " Parma " schierata in prima linea e la " Piemonte ", in riserva con un tentacolo proteso sulla destra della precedente, fra Coriza ed Erseke.

Su quei 50 km circa di frontiera, al mattino del 28, s'iniziarono le ostilità, con qualche azione di pattuglia, che non trasse in inganno il nemico; esso difatti sapeva che da quella parte non era possibile alle scarse truppe italiane nutrire serie intenzioni d'offensiva e le poche pattuglie avanzate elleniche ripiegarono ordinatamente, per sviluppare dalle retrostanti posizioni una vivace attività di fuoco; di notte, spinsero avanti grossi pattuglioni specialmente in direzione del varco di Kapeshtice. Sul settore epirota lungo circa 100 km l'operazione doveva svolgersi spingendo avanti le ali: a sinistra la " Julia " risalita la Voiussa, doveva raggiungere il passo di Metsovo per materializzare la separazione dell'Epiro dalla Macedonia ed esercitare una potenziale minaccia sulla Tessaglia; a destra, il leggero Raggruppamento del litorale doveva puntare direttamente su Prevesa in modo da dare la sensazione di un doppio avvolgimento; al centro, alla divisione " Ferrara " toccava marciare diritta su Gianina e, alla sua destra la " Siena " raggiungere Filiates e il medio Kalamas; la " Centauro " costituiva riserva, ma una sua aliquota doveva agire, con la " Ferrara ", contro il nodo fortificato di Kalibaki.

Da parte greca, in Macedonia, la 9ª divisione e la 4ª brigata, rinforzate con 5 battaglioni, erano dislocate fra il lago di Prespa e il monte Grammos; 2 battaglioni più uno di riserva, presidiavano il monte Grammos e le pendici settentrionali dello Smolikas; in Epiro, si trovava l'8ª divisione (su 4 reggimenti e cioè, 12 battaglioni), la 3ª brigata ; 3 battaglioni dietro il basso Kalamas, e 1 battaglione a Prevesa.

In totale, 20 battaglioni fra il lago di Prespa e il monte Grammos, 3 battaglioni sul Pindo, 19 in Epiro, 11 in seconda schiera; per un totale di 53 battaglioni . In Macedonia, era in corso il completamento di altre grandi unità una divisione di cavalleria, della lª divisione di fanteria e della 5ª brigata. Sul fronte dell'artiglieria è da rilevare che anche se in relazione al numero delle bocche da fuoco gli italiani erano in vantaggio, i greci avevano a proprio favore la maggiore modernità delle artiglierie, inoltre la possibilità di someggiarle tutte, compresi gli obici da 105, mentre nei reggimenti di artiglieria divisionali italiani, solo i pezzi da 75/13 erano someggiati, mentre quelli da 105 erano carrellati e a volte non trasportabili sulle mulattiere e uno o due gruppi ippotrainati, e quindi impiegabili solo in prossimità di buone carrarecce. La superiorità numerica totale era dalla parte dei greci e se si aggiunge che mentre dietro di questi esisteva una contiguità territoriale che, pur con le limitazioni della rete di comunicazioni, consentiva l'affluenza continua di rinforzi, gli italiani avevano alle loro spalle solo i porti di Durazzo e di Valona di ridottissima capacità recettiva, specialmente il secondo. Questa sproporzione degli opposti schieramenti, dimostra su quale fragilissima base poggiasse il piano di guerra italiano e come essa abbia condizionato dannosamente fin dall'inizio, lo sviluppo delle operazioni e solo ai primi di marzo si riuscì a stabilire un soddisfacente equilibrio di forze.

Il comando superiore ellenico prese stanza a Gianina e questa sistemazione è una chiara dimostrazione dell'esatta individuazione del settore di maggiore importanza. La divisione " Julia ", il cui comandante non aveva ottenuto né che la " Piemonte " estendesse la sua occupazione al Palioka, per garantirgli il fianco sinistro e le retrovie, né il rinforzo di almeno un paio di altri battaglioni, partì decisamente verso il passo di Metsovo, distante oltre 80 km. Alle basi di Erseke e Leskoviku furono lasciati corredo, bagagli, cucine ufficiali, oggetti di equipaggiamento, e portati al seguito viveri e foraggi per cinque giorni, caricando ogni alpino di un proiettile d'artiglieria. L'asperità del terreno, l'attraversamento del fiume Sarandaporos in piena e con i ponti distrutti, la resistenza di pochi ma decisi reparti, ritardarono l'avanzata e al quarto giorno gli alpini della " Julia " erano stanchi e ben lontani dall'obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere in cinque tappe al massimo; all'ottavo giorno erano alla testata della Voiussa a Vovusa ma s'erano ingolfati in una zona che stava per essere strozzata, alla base sulla Voiussa fra il Palioka il Gamila e il nodo fortificato di Kalibaki sulla sinistra dell'alto Kalamas. Il primo novembre, era stata consumata l'ultima giornata di viveri e scarseggiavano le munizioni

All'ala destra, il Raggruppamento del litorale e la " Siena " raggiunsero in poche ore il Kalamas che, largo una cinquantina di metri e profondo circa tre, con fondo melmoso e corrente impetuosa, fra sponde ripide, specie quella sinistra, si rivelò inguadabile. All'infuori di leggere passerelle, non vi erano materiali per costruire idonei passaggi e solo nella notte del 5 novembre, poterono essere gettati due ponti e le due grandi unità formarono un'ampia testa di ponte, da Varfani al mare. Il 3° granatieri procedette verso sud e i lancieri " Aosta " e " Milano " si spinsero fino a Paramithiá e Margariti. Ma, il 7 novembre, il C.S.T.A. ordinò di sostare sul Kalamas e i due reggimenti di cavalleria e quello di granatieri dovettero ritornare entro la testa di ponte. Il ripiegamento delle ali era dovuto oltre alla efficace reazione ellenica contro la " Julia " allo sfavorevole andamento delle operazioni al centro: il corpo d'armata Ciamuria aveva attaccato con la " Ferrara " e la " Siena ", tenendo in riserva la " Centauro " che avrebbe dovuto sfruttare il successo, non appena sfondato il nodo di Kalibaki. Si può notare, nella concezione d'impiego della divisione corazzata, un completo capovolgimento dei procedimenti seguiti dai tedeschi: questi preparavano l'avanzata con pesanti bombardamenti aerei, quindi lanciavano le unità motocorazzate infine seguivano le fanterie per consolidare il successo. Da parte italiana, sia per deficienza di aerei, sia per l'imperversare del maltempo, cominciò col mancare completamente l'appoggio aereo e dal cielo che doveva venire " coperto da una massa di velivoli tricolori" si vide spuntare solo qualche aereo greco che mitragliava e bombardava, con scarsi effetti materiali, ma con un notevole effetto morale, furono inoltre colpiti anche centri abitati, come Coriza e Argirocastro.

Una colonna della " Ferrara ", con alcuni carri armati, riuscì a impossessarsi del Ponte di Perati, prima che i greci lo facessero saltare e le altre colonne di fanteria ne approfittarono per procedere oltre, ma le interruzioni stradali, i ponti distrutti e la resistenza di alcuni nuclei greci rallentarono la marcia e spezzettarono le colonne d'attacco in molti scaglioni ai quali la " Centauro " cedette, poco alla volta, gran parte dei suoi mezzi, alla fine la divisione venne si assorbita dalla lotta, non come grande unità, ma suddivisa in tronconi. Superata, con un abile avvolgimento, la stretta di Delvinaki, fortemente apprestata a difesa, il corpo d'armata prese contatto il 31 ottobre con la linea di resistenza avversaria Kalibaki Kalamas, ma era privo delle artiglierie di medio calibro attardate dalle interruzioni stradali e dall'impraticabilità del terreno reso pantanoso dalle incessanti piogge; priva dell'appoggio dell'artiglieria, cozzò contro le ben munite postazioni greche. La sera del 31 ottobre Mussolini, che si era recato al campo di aviazione di Grottaglie, in Puglia, pronto a balzare in Albania appena l'avanzata avesse assunto lo sperato, travolgente andamento, scoprì che era superfluo occupare Corfù e ritenne più conveniente inviare la " Bari " in Albania, cominciava a delinearsi l'inadeguatezza delle forze predisposte per la campagna da parte degli italiani. La controffensiva ellenica

Il comando in capo greco aveva potuto procedere indisturbato ai movimenti per il completamento della radunata dell'esercito sui minacciati confini: dei 400 aerei italiani dichiarati impiegabili nella riunione di Palazzo Venezia, ne risultarono disponibili appena 200, che vennero impiegati in azioni sporadiche, non solo assolutamente slegate dalle operazioni terrestri, ma anche senza obiettivi precisi, quali, ad esempio, i nodi e le vie di comunicazione. Il giorno 31 ottobre, si verificò un avvenimento premonitore di più gravi eventi: i greci uscirono nel settore macedone dalla loro passiva difesa e mossero all'attacco, sia verso l'alto Devol, sia verso l'alta Voiussa attraverso il Pindo. Il C.S.T.A., il 2 novembre, dispose che la " Piemonte " passasse a completa disposizione del XXV corpo, rinunciando così alla sua unica riserva l'indomani richiamava la " Arezzo " dalla frontiera iugoslava, dove la copertura rimase affidata ai carabinieri, alla guardia di finanza e a qualche reparto albanese, sulla cui efficienza era lecito nutrire forti dubbi, dato il comportamento di quelli impiegati sul fronte greco. La contromanovra ellenica cominciò, quindi, a delinearsi quando l'offensiva italiana aveva appena preso contatto con la posizione principale di resistenza avversaria. La pressione nel Corciano venne esercitata da almeno tre divisioni, con le quali cooperò la poca aviazione, che si prodigò in bombardamenti e mitragliamenti, osservazione del tiro d'artiglieria, efficaci ricognizioni sui movimenti delle truppe italiane. Da quel momento la situazione italiana cominciò a mettere in evidenza la sua estrema delicatezza. Il 6, la " Julia " ricevette l'ordine di ripiegare e combattendo strenuamente, riuscì a rompere il cerchio che la stringeva; né risultò però minacciata la posizione delle forze che premevano su Kalibaki, dove qualche successo locale veniva annullato da contrassalti dell'avversario. Ma ogni azione offensiva dovette essere interrotta dagli avvenimenti del Corciano, dove una consistente massa ellenica prendeva decisamente l'iniziativa delle operazioni: il 7 novembre, tutte le forze italiane in Albania erano impegnate; la " Bari " sbarcò a Valona, priva di quadrupedi e con organici ridotti e invece che nel Corciano, dov'era destinata, dovette impegnare i suoi battaglioni, man mano che arrivavano, nel tentativo di tamponare la falla che stava per aprirsi nella zona Erseke Leskoviku Konitsa. Tutte le forze italiane, erano oramai proiettate in prima linea, mancavano riserve strategiche e limitatissime erano quelle tattiche. Anche la minuscola marina ellenica effettuò con un paio di piccole unità il bombardamento di truppe italiane, sul basso Kalamas.

Più gravi ripercussioni ebbe sul conflitto l'operazione di Taranto durante la quale 20 Swordfish britannici, partiti in due ondate nella notte dell'11 novembre misero fuori combattimento tre corazzate italiane Littorio, Duilio e Cavour. La stessa notte una divisione dì incrociatori Orion Sydney e Ajax e di cacciatorpediniere Nubian e Mohawk risalì le coste albanesi e affondò nel Canale d'Otranto quattro navi mercantili. L'effetto di azioni come queste non poteva essere che deleterio, per quel che riguardava le linee di rifornimento italiane.

L'8 novembre, il generale Soddu, sottosegretario di stato alla guerra e sottocapo di stato maggiore generale, che da quatto giorni era in Albania per rendersi conto delle cause del mancato travolgente successo, dovette riconoscere che l'offensiva era fallita. Il giorno dopo costituì un gruppo d'armate e ne assunse il comando, subito trasformato in comando superiore forze armate Albania costituito dalla 9ª armata (generale Vercellino e più tardi generale Pirzio Biroli) nel Corciano e 11ª (generale Geloso) in Epiro. L'inconsistenza delle truppe destinate all'impresa veniva finalmente riconosciuta; si correva però ai ripari quando la situazione ormai appariva compromessa e la controffensiva ellenica stava per scatenarsi. Inutili si rivelarono le prime speranze di Soddu di mantenere, in Epiro, la testa di ponte oltre il Kalamas a destra, e la zona Kalibaki Konitsa a sinistra, mentre nel Corciano la 9ª, armata avrebbe dovuto rioccupare le posizioni di confine e contrastare ogni tentativo di irruzione nemica nella zona Erseke Leskoviku, ciò nell'illusione di poter restare sulla difensiva, per tutto l'inverno.

Il generale Papagos, sicuro oramai di avere arrestato la spinta italiana sulla ben predisposta posizione difensiva in Epiro e sul Pindo, aveva raccolto le sue forze per passare alla controffensiva contro uno schieramento italiano pressoché filiforme. E' da rilevare che l'errore fondamentale italiano sia stato politico, poiché, anche se la " Julia " avesse raggiunto il passo di Metsovo e il corpo d'armata della Ciamuria oltrepassato la linea Kalibaki Kalamas, non vi erano truppe per sfruttare il successo. Quindi, non si poteva aver puntato, che sul crollo politico interno e forse sull'intervento bulgaro. Invece fu proprio sui militari che Mussolini cercò di scaricare ogni colpa e a pagare fu Visconti Prasca, che aveva sì la sua parte di responsabilità, ma non tutte. Il ripiegamento.

L'esercito greco ai primi di novembre mosse alla controffensiva quando lo schieramento italiano spesso con ampie soluzioni di discontinuità oltre ad essere diluito su un ampio fronte, presentava l'ala destra (divisioni " Centauro ", " Ferrara ", " Siena " e Raggruppamento del litorale) spinta in avanti; l'ala sinistra (divisioni " Arezzo ", " Venezia ", " Piemonte " e " Parma ") arretrata, il centro (divisioni " Bari " e Julia "). All'esercito greco, si offriva la possibilità di tenere ferma la sua sinistra, aprirsi con la destra lo sbocco su Coriza, aggirare il centro e cadere su Ponte Perati e poiché dietro la destra degli italiani non esistevano riserve, proseguire su Permeti Klisura Tepeleni: l'annientamento del corpo di spedizione italiano sarebbe stato possibile. Papagos, fortunatamente per gli italiani, non era un Rommel né un Patton e l'esercito greco si limitò ad una pressione quasi esclusivamente frontale e a tale condotta non fu certamente estranea la dottrina francese. La tattica greca ricalcava infatti quella francese e le norme di impiego erano spesso la traduzione letterale di quelle francesi. Per esempio, fu la norma di costituire, non appena appariva che il nemico si fosse sufficientemente sistemato a difesa, un'idonea base di fuoco' impiegando artiglierie e mortai. Gli attacchi venivano condotti di solito da formazioni serrate, in caso di riuscita dell'attacco, raramente i greci lo sfruttavano in profondità, nonostante la disponibilità di rincalzi e riserve.

L'esercito greco raggiunse lo schieramento offensivo la sera del 13: nel Corciano operava il III° corpo (3 divisioni in prima linea e una in riserva); sul Pindo il II° e la divisione di cavalleria; in Epiro il I° mentre era in arrivo la 2ª divisione. In riserva generale, 3 divisioni e una brigata di fanteria. Il III corpo aggirò il massiccio del Morova e conquistò il 22 Coriza, respingendo la 9ª armata italiana sul margine settentrionale della conca, dove fu arrestato; il II° scavalcò la dorsale Grammos Pindo e si impadronì della zona Erseke Leskoviku aprendo una breccia di circa 30 km, il I° attaccò in tre direzioni: verso Konitsa Ponte Perati, verso Kakavi e sul basso Kalamas. La precarietà della situazione delle truppe italiane, in un paio di giorni, apparve in tutta la sua vastità e il generale Soddu cominciò a considerare l'opportunità di ordinare un ripiegamento generale sensibilmente profondo, sapendo che l'avversario immetteva nuove forze nella lotta e luì non aveva riserve. Per fortuna degli italiani, i greci non ebbero la percezione delle grandi possibilità che gli si offrivano con l'ampia falla di Erseke. Il bollettino greco del 17 novembre annunciava semplicemente che in quel settore erano stati " distrutti depositi alimentari e di carburante e catturati alcuni prigionieri ". Il comando greco non si rese conto che non solo si era incuneato fra le due armate italiane ma che avrebbe potuto avvolgerne le ali interne e liberamente o quasi inoltrarsi sulla via di Berta e puntare su Valona. A trarlo in inganno valse anche uno stratagemma del colonnello Salvoni che reagì con attacchi di semplici pattuglie e con l'accensione di fuochi sulle montagne simulò l'arrivo di rinforzi. La pressione ellenica comunque proseguì, mentre disordinatamente cominciavano ad arrivare rinforzi dall'Italia; le divisioni (" Acqui ", " Tridentina ", " Gruppo Alpini Valle Taro ", " Pusteria ", battaglioni di bersaglieri) venivano gettate nella battaglia non nella loro unità organica ma inviando i propri reparti dove urgeva chiudere un buco o tentare di raddrizzare una situazione compromessa. Ad esempio la divisione " Lupi di Toscana " lanciata appena sbarcata in terreno sconosciuto in una notte di bufera si scontrò con una formazione nemica che muoveva serrata in avanti e si scompaginò prima ancora di potersi rendere conto di quanto stava accadendo. Il 4 dicembre Soddu convinto dell'impossibilità di ricevere tempestivamente i necessari rinforzi telefonò a Roma suggerendo che si ricercasse la soluzione " per via diplomatica ", Mussolini ordinò la resistenza a oltranza e inviò in Albania il nuovo capo di stato maggiore generale Cavallero che il 30 sostituì Soddu nel comando superiore. Il nuovo comandante italiano seppe affrontare la situazione con calma e in breve tempo riuscì ad impiegare organicamente le divisioni che affluivano dall'Italia. Intanto, il generale Geloso conduceva la ritirata dell'11ª armata ma ancora il 2 dicembre sul suo settore nessun tratto poteva considerarsi saldamente ancorato. Con determinazione e proteggendo il movimento con contrattacchi Geloso decise di abbandonare una linea che copriva località di notevole valore politico come Permeti Santi Quaranta Argirocastro sgombrate rispettivamente il 4 il 6 e l'8 dicembre ma che non davano sufficienti garanzie di stabilità. Il mattino del 9 dicembre lo schieramento italiano si stendeva per 160 km di ampiezza (in linea d'aria) sul margine sud del ridotto meridionale albanese: lago di Ocrída Tomori Klisura Kurvelesh Himare. I combattimenti continuarono asprissimi i greci tendevano a raggiungere Berati e Valona ma conseguirono solo successi locali e Klisura raggiunta il 25 gennaio fu l'ultimo successo mentre furono arrestati circa 10 km a sud di Tepeleni città di vasta risonanza in tutti i Balcani. Non era ancora l'arresto definitivo ma già alla fine di dicembre la battaglia aveva dato i suoi frutti e il fronte aveva acquistato un sufficiente stato di solidità. Il comando ellenico aveva in mano ancora ottime occasioni, ma non seppe sfruttarle: fermato nel settore settentrionale, ad occidente della conca di Coriza, perduta l'occasione della " falla " di Erseke Leskoviku, spinta una colonna lungo il litorale, che superato Santi Quaranta aveva occupato Himare, a una cinquantina di chilometri dalla baia di Valona, si lasciò ipnotizzare dalle due direttrici di attacco: a nord la Val Voiussa Permeti Klisura Val Desnizza Berati; a sud, il solco Val Dhrino Tepeleni bassa Voiussa Valona, ingolfandosi in una zona montagnosa che si prestava alla difesa, senza riuscire a far massa in un tratto decisivo. Aveva ancora una buona superiorità di forze, perché avendo pressoché sguarnita la frontiera con la Bulgaria disponeva sul fronte albanese di 14 divisioni di fanteria (sulle 18 mobilitabili) 1 di cavalleria e 2 brigate di fanteria, oltre a reparti minori. Gli italiani potevano contrapporre, al 31 dicembre, 12 divisioni di fanteria, 4 alpine, 1 corazzata; ma si tenga presente la più leggera consistenza in battaglioni delle divisioni italiane, che inoltre non avevano ricevuto i complementi necessari per rimpiazzare le gravi perdite subite. Ma da parte italiana si stava lavorando, per raddrizzare la situazione, a cominciare dal miglioramento delle possibilità di sbarco sulle coste albanesi. Per facilitare l'arrivo di rinforzi e materiali, venne sfruttato anche il modesto ancoraggio di San Giovanni di Medua, benché eccentrico rispetto alla zona di operazioni, ma soprattutto furono potenziati i porti di Durazzo e di Valona, con la costruzione di pontili e l'invio di chiatte, di pontoni, zatteroni e di un migliaio di esperti scaricatori. La media giornaliera di scarico, da meno di 2000 tonnellate in dicembre salì a 3.000 in gennaio, a 4000 in marzo con punte di 5.000. Vennero inviate divisioni su divisioni ma perché ognuna avesse al completo tutti i suoi elementi in Albania occorreva circa un mese di tempo e né risultò scompaginata l'intera organizzazione militare; basti sapere che per dotare qualche divisione in Albania di due gruppi da 75 someggiati né rimase priva qualcuna in Italia. Alla " Taro " alpina " Pusteria " e " Tridentina " giunte in novembre seguirono le divisioni "Acqui ", alpina " Cuneense ", " Cuneo " e "Brennero " in dicembre, " Lupi di Toscana ", " Legnano ", " Pinerolo ", " Cacciatori delle Alpi ", " Cagliari " e " Sforzesca " in gennaio; " Forli " e " Puglie " in febbraio; " Casale ", " Firenze ", " Messina " e " Marche " fra marzo ed aprile. Se anche solo la metà di queste ve ne fosse stata all'inizio delle ostilità l'andamento del conflitto sarebbe stato molto diverso. La conquista di Klisura stava per costare cara ai greci, ai primi di febbraio, la " Legnano " percorrendo la fossa della Voiussa, arrivò animosamente alle spalle delle divisioni elleniche impegnate in alta Val Desnizza e le avrebbe schiacciate contro l'VIII corpo d'armata, che le tratteneva ma mancarono i rinforzi e un deciso contrattacco di fresche riserve elleniche fece fallire l'impresa quando il successo si delineava sicuro. La guerra entrò in una fase di logoramento, durante la quale i greci testardamente perseverarono verso Tepeleni con qualche scarso successo, sanguinosamente pagato. Il 9 marzo il generale Gambara tentò un colpo di mano , col suo VIII corpo d'armata in Val Desnizza e Mussolini accorse dall'Italia per assistere alla battaglia. Ma l'inefficienza della preparazione d'artiglieria (in massima parte effettuata con piccoli calibri inadatti ad aprire varchi nei reticolati e sconvolgere le trincee avversarie) lo scarsissimo addestramento dei fanti italiani oltre ad una valorosa difesa dei greci, indussero il generale Cavallero a far rilevare al Duce il danno di proseguire in una azione che non dava più alcuna garanzia di successo. La situazione politica internazionale subiva intanto radicali modificazioni nei Balcani per il voltafaccia della Iugoslavia e l'intervento tedesco. Il 14 aprile una colonna della " Cagliari " attaccò e conquistò le posizioni di quota 802 in alta valle Shushiza, sul Bregu Scialesi un affluente del Desnizza, catturando qualche decina di prigionieri; fu l'ultimo scontro di una certa importanza perché diede l'avvertimento che i greci desistevano dalla lotta. Infatti non si ebbe il contrattacco che non era mai mancato in simili occasioni. Il giorno dopo l'esercito greco aveva rotto il contatto e ordinatamente si ritirava su tutto il fronte verso i propri confini. L'inseguimento italiano fu ritardato dalla reazione di grosse retroguardie e dalle sapienti interruzioni; ponti e ponticelli distrutti, strade a mezza costa sbancate, ostruzioni ovunque da quaranta a cinquanta sugli scarsi 80 km della rotabile che portava a Ponte Perati. Quando, gli italiani arrivarono al ponte, ancora intatto, scoprirono che era presidiato da una pattuglia tedesca. Una colonna motorizzata tedesca era passata dalla Bulgaria nella valle del Vardar (l'Axiós dei greci), e, scesa nella Macedonia greca aveva piegato subito a noidovest su Florina e Metsovo raggiungendo da sud i confini con l'Albania; aveva lasciato passare le truppe greche in ritirata e occupato tutti i valichi, con l'ordine di far cessare le operazioni, praticamente di fermare gli italiani mentre a Salonicco veniva firmata la capitolazione della Grecia.